sabato 23 maggio 2009

Fincantieri. Fiom: sciopero di Gruppo con adesioni superiori al 90

Trieste: partita da piazza Libertà la manifestazione nazionale per l’accordo integrativo


Trieste. “Noi costruiamo le navi, noi decidiamo sugli accordi”: è questa la scritta che campeggia sullo striscione che apre il corteo dei lavoratori Fincantieri, promosso dalla Fiom-Cgil, che è partito alle 10.00 del mattino di oggi da piazza Libertà, antistante la Stazione ferroviaria. Nell’ambito della giornata nazionale di lotta per la conquista dell’integrativo di Gruppo, al corteo, che intorno alle 10.45 è giunto davanti alla Direzione centrale di Fincantieri alla Marina di Trieste, partecipano lavoratori provenienti dagli otto cantieri navali del Gruppo, dalle sedi impiegatizie e dalle imprese collegate.

Stando alle notizie che giungono da tutte le sedi di Fincantieri, la riuscita dello sciopero di otto ore proclamato per oggi dalla Fiom è pressoché totale e, comunque, superiore al 90%. Si calcola che solo poche centinaia di lavoratori sugli 8 mila dipendenti diretti di Fincantieri abbiano varcato, stamattina, i cancelli degli stabilimenti. Stando a queste stesse prime notizie, l’iniziativa di lotta della Fiom ha coinvolto con successo anche i dipendenti delle ditte di appalto.

Fiom-Cgil/Ufficio Stampa

lunedì 18 maggio 2009

Io vado in piazza con i lavoratori Fincantieri!!

Fim e Uilm, il 1° aprile 2009 in Fincantieri hanno deciso di sottoscrivere un accordo separato nella vertenza per l’integrativo di Gruppo. La Fiom nazionale e il Coordinamento nazionale Fiom del gruppo Fincantieri giudicano tale scelta un grave attacco ai diritti dei lavoratori e alla democrazia sindacale. Ciò per due motivi:

1. L’accordo impone un aumento del 20% della produttività del lavoro come condizione per ottenere un (bassissimo) aumento salariale. Vengono introdotte discriminazioni salariali e una gestione unilaterale delle retribuzioni, tesa a contrapporre tra loro le principali figure professionali e gerarchiche dell’azienda. Nello stesso tempo, l’accordo non affronta la materia degli appalti e della precarietà del lavoro e definisce posizioni negative, peggiorative del Testo Unico, sulla salute e sulla sicurezza del lavoro.

2. Di fronte alla richiesta della Fiom di proseguire la trattativa, l’azienda con Fim e Uilm ha deciso di considerare chiuso il negoziato. Fim e Uilm si sono poi assunte la responsabilità di respingere la richiesta della Fiom di effettuare un referendum vincolante sulla proposta dell’azienda.

Manifestazione Nazionale della Cantieristica a Trieste

22 maggio 2009
Ore 9.00 piazza Libertà

Partecipare alla manifestazione della cantieristica è importante per tutti i lavoratori e non soltanto per gli occupati del gruppo Fincantieri, perché è in gioco la democrazia sui luoghi di lavoro.
La FIM e la UILM hanno accettato e siglato il nuovo contratto senza consultare i lavoratori. Pertanto, invitiamo tutti i colleghi di Insiel che hanno la sensibilità di capire la grave mancanza di democrazia sul lavoro, a raggiungerci in corteo. (Utilizzando permessi personali)

Oggi è successo alla Fincantieri
domani potrebbe capitare anche a NOI.

Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili.
Bertolt Brecht

Cremaschi: hanno agito come ultras

«Vorrei cominciare, se possibile, dalle foto di Rinaldini che ho visto pubblicate sulle prime pagine dei giornali italiani...». Con Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom - il leader più a sinistra di tutta la Fiom, molto ambito nei salotti televisivi, a lungo considerato il possibile erede di Fausto Bertinotti alla guida di Rifondazione, e poi un look trasandato chic e sessant'anni portati senza stanchezza, sebbene trentacinque se ne siano ormai andati facendo sindacato in fabbrica, o sui palchi, e sui palchi non è mai stato semplice, ma certo neppure a lui era mai capitato di assistere a scene come quella di sabato, a Torino, con Gianni Rinaldini spinto giù, nel vuoto - con lui, con il Cremaschi, appunto, cominciamo dalle foto perché, a suo parere, «sono un bel po' fuorvianti».
In che senso, scusi? «Vede, tutti quelli che stanno attorno a Rinaldini, e lo tengono per le braccia, nonostante i ghigni, stanno solo cercando di aiutarlo. Mediaticamente, però, sono foto che aiutano a far passare altri messaggi». Quali? «Per la maggior parte della stampa di centro e di sinistra, la scena simboleggia un caso simile, se non peggiore, a quello di Luciano Lama cacciato dalla Sapienza di Roma nel 1977. Per la stampa di destra, invece, le foto dimostrano la caduta, il crollo, la fine del sindacato stesso. Entrambe le interpretazioni, com'è evidente, sono assolutamente forzate. Ma utili a divulgare l'idea di un sindacato debole. Perfetto per realizzare la figura dell'operaio che certi hanno in mente». E che sarebbe? «L'operaio aziendalista che non sciopera, che se la prende con gli extracomunitari accusati di portargli via il lavoro e che magari, come capita in Fiat, mentre centinaia di suoi compagni sono in cassa integrazione, lui non solo lavora, ma fa pure gli straordinari». Naturalmente, Cremaschi non ridimensiona certo la gravità di ciò che è accaduto su quel palco, a Torino. «Diciamo che tendo a valutarlo diversamente». Intanto - ed è l'unico passaggio, in questo colloquio, in cui il tono della voce gli si allenta in un filo di ironia - «perché ci siamo fatti fregare come dei polli e ora io non dico che dobbiamo tornare a organizzare i nostri celebri servizi d'ordine di trent'anni fa, però, ecco, nemmeno farci ridicolizzare da un gruppetto che vuol farsi pubblicità...».
E così siamo al cuore del fatto. «Sì, perché quelli dello Slai-Cobas, la più piccola sigla sindacale presente in Fiat, hanno agito come ultras d'una squadra di calcio. Sono partiti da Nola con un progetto preciso: fare casino per farsi pubblicità. Punto, fine». Fine, mica tanto. Hanno dimostrato che esiste uno spazio sindacale ancora più a sinistra della Fiom. Uno spazio, per giunta, scarsamente coperto politicamente. «Con toni delicati mi sta chiedendo se temo derive incontrollate?». Esatto. «No. Alla fine degli anni Settanta, c'era un Pci potentissimo, eppure sappiamo come finì. Storicamente, quel tipo di deriva non può essere replicata...». La parole di Cremaschi paiono essere rassicuranti; non fosse che celano un ragionamento più profondo, e assai preoccupante. «Purtroppo, se non vedo rischi di natura terroristica, intravedo però la possibilità che si creino scenari di tensione del tutto simile a ciò che accade nelle banlieu francesi». È un'affermazione grave: può essere più preciso? «Se chiudono la Fiat di Pomigliano d'Arco, per fare un esempio, il rischio di reazioni disperate è alto. E la disperazione porta rabbia, e la rabbia può provocare violenza». Il ruolo della Fiom. «Poiché il rischio di insorgenza sociale è forte, noi cerchiamo di guidarla e, in qualche modo, tenerla». Non sarà facile. «È e sarà dura. Ma mentre Berlusconi e Tremonti dispensano ottimismo, noi almeno diciamo la verità. Sa cosa rappresenta oggi la Fiom per questo Paese?». Lo dica lei. «Il punto di equilibrio».

giovedì 14 maggio 2009

Tutto il lavoratore in un chip

Roma - In questi giorni è arrivata ai giornali una notizia che dovrebbe far riflettere (e forse dovrebbe preoccupare) tutti coloro che hanno a cuore la propria privacy. Si tratta di una nuova iniziativa del Ministro del welfare Sacconi. Ecco come la riporta ZeusNews:

"Il ministro del welfare propone un fascicolo elettronico che accompagni il lavoratore tutta la vita con tutti i suoi dati sul lavoro ma anche le malattie."
"Questo fascicolo dovrebbe contenere tutti i dati del lavoratore per quanto riguarda le sue esperienze lavorative, i corsi frequentati ma anche il suo stato di salute, le malattie che ha avuto fin da piccolo, le cure e via dicendo.
C'è il rischio che, se le due parti del fascicolo non saranno ben separate, i datori di lavoro - se non saranno esclusi dall'accesso ai dati sulla salute - potranno assumere, licenziare e promuovere i lavoratori potenzialmente più sani e meno assenteisti".
(Da I pericoli del fascicolo elettronico di Sacconi su ZeusNews del 7 maggio 2009)

Personalmente, nutro qualche perplessità e qualche preoccupazione riguardo a tutti i progetti di questo genere. Quello di Sacconi mi sembra anche più criticabile di altri che ho visto passare in precedenza. Qui di seguito cerco di spiegare perché.

A cosa dovrebbe servire?!
Quale reale necessità esiste di creare un simile strumento di controllo? Al datore di lavoro, per legge, devono interessare solo le capacità legate in modo specifico alla mansione da svolgere. Se si sta cercando un programmatore, deve saper programmare. Se si sta cercando un facchino, deve essere in grado di spostare dei pesi (nei limiti previsti dalla legge). Di queste capacità, il datore di lavoro ha pieno diritto (garantito dalla legge) di chiedere dimostrazione pratica ai candidati.

Viceversa, al datore di lavoro, per legge, non deve interessare nulla di tutto il resto. In particolare, non deve interessare nulla degli aspetti sanitari del lavoratore (che sono seguiti e garantiti da Medico del Lavoro). Se il facchino ha l'ernia ha già adesso l'obbligo, previsto dalla legge, di informare il datore di lavoro appena ne viene a conoscenza. Non c'è quindi nessuna ragione di mettere la sua cartella clinica sulla stessa smart card che ospita il suo curriculum. Se il programmatore soffre spesso di mal di testa, questa è una possibilità di cui il datore deve tenere conto e, se eccede il ragionevole, di cui può chiedere conto (in modo legittimo) al lavoratore stesso, fino ad arrivare, in caso di eccessi ingiustificati, al licenziamento per giusta causa. Il datore di lavoro è già adesso più che tutelato nei confronti di possibili "fregature" di carattere sanitario da parte dei suoi dipendenti. Viceversa, il lavoratore non ha nessun motivo di mettere su una scheda (cartacea o digitale) informazioni così delicate. A cosa diavolo dovrebbe servire questo assurdo fascicolo, allora? Più esattamente, a chi sarebbe utile questo fascicolo? Per quali scopi?

Quali garanzie di controllo sugli accessi è possibile avere?
Dal punto di vista tecnico, sembra di capire che si vuole piazzare il curriculum del lavoratore su una smart card insieme alla sua cartella sanitaria e ad altre informazioni.

La tecnologia delle smart card permette già da tempo di avere più identità e più depositi di dati sulla stessa carta, separati l'uno dall'altro da meccanismi di cifra. Questa tecnologia è di difficile comprensione e di difficile gestione persino per gli operatori del settore. Non a caso, nessun paese ha ancora adottato una singola smart card che svolga contemporaneamente le funzioni di carta d'identità, patente e tessera sanitaria. Nemmeno nessuna azienda privata si è ancora azzardata a rilasciare, ad esempio, una singola smart card che permetta di accedere ai conti correnti di due o più banche diverse tra loro (sebbene questo sia possibile da anni). Il problema non è la tecnologia delle smart card in sé ma piuttosto la comprensione che ne hanno gli utilizzatori e gli amministratori. Si deve infatti tenere presente che certamente non tutti gli utenti, e nemmeno tutti gli amministratori, di questi sistemi avranno la competenza, l'intelligenza ed il senso di responsabilità necessari per farne un uso corretto.
Francamente, è anche difficile credere che la vetusta e cagionevole PA italiana riesca là dove gli altri non si azzardano nemmeno a tentare.

Chi dovrebbe avere accesso a quali dati?
E veniamo al dunque: anche ammesso che tutto funzioni a puntino, chi dovrebbe accedere a cosa? Sembra di capire che il datore di lavoro dovrebbe avere accesso solo ai dati di rilevanza professionale. Facciamo pure finta che sia così e discutiamo di questo.

Chiunque abbia inviato più di un singolo CV in vita sua sa benissimo che si devono rivelare informazioni diverse a datori di lavoro diversi. Ad esempio, non c'è motivo di mettersi a spiegare per quale motivo non si dispone di un titolo di laurea se la posizione di cui si sta discutendo non la richiede in modo esplicito. Si rischierebbe inutilmente di dare l'impressione di essere persone inconcludenti o limitate.

Allora, chi decide a quali informazioni il datore di lavoro può accedere, pur restando nell'ambito delle informazioni di carattere professionale? Se è il lavoratore a decidere, mi dovete spiegare come fa dal punto di vista tecnico (e probabilmente dovete fare un corso al lavoratore per spiegargli come fare uso di questo suo diritto nella pratica). Se è il datore di lavoro, mi dovete spiegare perché il lavoratore dovrebbe rinunciare a questo suo diritto di selezionare le informazioni che intende rivelare di caso in caso.

Chi dovrebbe garantire la tutela dei dati?
Ma non è detto che tutto fili a puntino. La proposta di Sacconi coinvolge infatti anche il Garante della Privacy che, in teoria, dovrebbe essere l'autorità posta a difesa del nostro diritto alla riservatezza dei dati personali. Si tratta della stessa autorità che, di fatto, non è mai riuscita ad impedire che le aziende dei tipi più disparati ci telefonino a casa per offrirci ogni tipo di prodotto non richiesto. Si tratta di un'autorità che può contare su pochissime persone, che ha pochissimi strumenti legali a disposizione, e che è stata messa a sorvegliare il comportamento di 6o milioni di italiani. Capirei se avessimo a che fare con i diligentissimi svedesi ma siamo di fronte alla nazione che più di ogni altra in Europa ha una vasta e consolidata tradizione di misuse e di abuse dei dati. Francamente, è difficile pensare che il garante della Privacy possa garantire qualcosa di concreto. Soprattutto, è difficile pensare che possa prevenire i comportamenti illeciti.

A parte le note antinazionalistiche, questa autorità come dovrebbe vigilare su questo delicatissimo aspetto della nostra esistenza? Con quali mezzi?
Se l'idea è quella che possa agire a posteriori, con delle sanzioni, c'è poco da stare allegri: sai quanto me ne può fregare di sapere che il mio ex-datore di lavoro si è beccato una multa per avermi licenziato dopo che mi ha sbattuto in mezzo ad una strada. Sai quanto me ne può fregare di questa piccola soddisfazione se tutti i miei potenziali datori di lavoro mi lasciano sistematicamente fuori dalla porta già dopo primo colloquio.

Che succede se c'è una perdita di informazioni?
Ogni singolo accesso, autorizzato o meno, ad una informazione permette ovviamente di duplicarla e di ridistribuirla. Si può stampare la "videata" del PC. Si può prendere nota manualmente. Si può inviare la pagina via fax o il singolo dato per SMS. Una volta rivelata, anche ad una singola persona, una informazione non è detto che resti segreta. Che succede se il possibile datore di lavoro da cui vado per fare un colloquio decide di rivendere le informazioni che gli fornisce il mio fascicolo digitale ad altre aziende? Mi può stare bene di rivelare il mio percorso universitario ad una azienda che sta cercando una figura compatibile con esso ma perché devo rischiare di ritrovarmelo, un mese dopo, spiattellato in un database insieme a quello di milioni di altre persone? Magari su un server in Cina, fuori dalla portata della magistratura italiana ma ugualmente raggiungibile via web. Perché?

Che succede se c'è un errore nei dati?
Facciamo un'ipotesi: prendo una laurea in fisica, specializzazione in fisica teorica, tesi sulla Teoria M. Sono così bravo che faccio i logaritmi a mente mentre programmo in assembler e mi diverto a recitare a memoria la Divina Commedia alla rovescia. Sono un genio. Il tipo di genio che tutti vorrebbero assumere. Però... però c'è stato un piccolo errore tecnico: a causa di un banale errore umano, sul mio Fascicolo Elettronico Personale risulta invece che ho conquistato a fatica il diploma di geometra a 25 anni, dopo aver preso lezioni da un sordomuto ospite di Rebibbia.
OK, è soltanto un errore. Vado a farmelo correggere... DOVE?! Da CHI!? COME?!
Anni fa mi hanno cambiato il codice fiscale (che, si badi bene, in teoria doveva essere immodificabile) per tenere conto del fatto che il comune dove sono nato è passato da un provincia ad un'altra, di nuova creazione. Non vi dico il casino con l'INPS, l'Agenzia delle Entrate e la AUSL. Per un periodo sono quasi risultato apolide! Francamente, come si può pensare di affidare ad uno meccanismo del genere dei dati così delicati?

Che succede se il governo cambia idea?
Facciamo un'altra ipotesi: ora abbiamo un luminoso governo di un certo tipo. Sembra immortale. Però... ad un certo punto, magari lentamente, cambia qualcosa... Gli equilibri politici non sono più quelli di una volta. Il governo giunge alla sua scadenza naturale e se ne elegge uno nuovo. Questo nuovo governo è capitanato da un tipo magro, olivastro, dai capelli scurissimi e che porta un curioso paio di baffetti. Questo signore pensa che i dati che stanno sul nostro Fascicolo Elettronico Personale siano molto interessanti. Quei dati permettono alla sua polizia di distinguere il grano dalla pula, il buono dal cattivo, il puro dall'impuro.
Come facciamo ad evitare che questi signori in cappotto di pelle nera si presentino sulla nostra porta alle quattro di mattina e ci facciano salire su un camion diretto ad est?

Se si crea un database con i dati personali dell'intera popolazione, si consegna l'intera popolazione a chi controlla questi dati, cioè al governo ed all'amministrazione statale. L'ipotesi che all'interno dell'amministrazione pubblica non ci saranno mai dei malintenzionati o degli stupidi non è realistica ma, anche accettando questa ipotesi, bisogna tenere presente che l'intero governo non è una realtà stabile e che con esso può cambiare la politica dei gestione dei dati e persino tutta l'amministrazione statale. Gli impegni presi oggi da un governo potrebbero benissimo essere rinnegati da quello successivo.

Conclusioni
Non si scherza col fuoco in questa maniera. I dati sanitari e professionali dei cittadini devono starsene ben chiusi nei cassetti dei cittadini stessi. Magari in forma digitale, su più smart card separate e protette ognuna da un diverso PIN, ma comunque devono restare nella disponibilità esclusiva dei lavoratori. Meglio ancora sarebbe che restassero su carta. Non c'è un vero motivo di renderli digitali, facilitando il lavoro dei malintenzionati ed aprendo le porte alle conseguenze più devastanti di un singolo, banale errore umano.
L'idea di creare un "fascicolo unico" è insana e pericolosa in sé. Se vi fregano il bancomat o la credit card la si può bloccare (non sempre in tempo) ma che succede se vi fregano un documento come questo e pubblicano il suo contenuto sul Web? Peggio ancora è l'ipotesi che possa esistere un database centrale con queste informazioni. Che succede se un "hacker" (che poi sarebbe un cracker od un intruder) riesce ad accedervi e divulga queste informazioni? Che succede se lo fa un dipendente della PA rivelatosi inaffidabile? Che succede se un dipendete lo rende pubblico per errore?

L'innovazione tecnologica è certamente una necessità ma non lo è in tutti casi. In molti casi non è nemmeno consigliabile. In alcuni casi può essere addirittura molto pericolosa se non viene gestita in modo adeguato. Francamente, questo è uno di quei casi in cui preferirei continuare ad usare dei metodi già collaudati.

Alessandro Bottoni

giovedì 7 maggio 2009

Sacconi presenta il Libro bianco della felicità

Lo Statuto dei lavori dovrebbe superare lo Statuto del ‘70. Ce n’è per tutti: nuove regole sui licenziamenti, meno contenzioso e conflitti, fascicolo elettronico. Sull’articolo 18 il ministro è diplomatico: in tempi di crisi non si tocca, oppure sì?

Più che un Libro bianco sembra un libro dei sogni. Anzi il libro di un sogno: quello di realizzare una società vagamente anestetizzata, priva di conflitti sul lavoro, le cui regole di convivenza e litigio economici (le cosiddette relazioni industriali) siano affidate non più al contenzioso (alla Legge) ma alle dinamiche produttive, magari determinate a livello locale. Insomma “un libro bianco nazional-popolare”, fatto pensando al “senso comune del popolo”. Con queste parole il ministro del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha presentato il testo da lui elaborato che potrebbe plasmare il futuro modello sociale italiano. Un documento ambizioso – lo si intuisce dalle parole scelte da Sacconi nel presentarlo in conferenza stampa – che allarga il contesto del mercato del lavoro (sul quale si concentrò il precedente Libro bianco presentato dalla destra nel 2001) anche a welfare, salute, protezione sociale. Ma il nucleo resta il lavoro e, come nel 2001, il governo rilancia l’idea dello “Statuto dei lavori”, ossia manda un messaggio chiaro: intende mettere mano allo Statuto dei lavoratori, cambiarlo, o almeno riprovarci.

"La vita buona della società attiva", questo il titolo del documento (non ancora stampato né distribuito) che è stato presentato al Consiglio dei ministri del 6 maggio. Un documento, dunque non un disegno di legge. Un’idea di quale legislazione potrebbe entrare in vigore nel prossimo futuro. Si tornerà dunque a parlare di articolo 18 (la norma dello Statuto che vieta il licenziamento senza giusta causa), diritto del lavoro, tutele del lavoro. Il documento, infatti, auspica nuove regole per i licenziamenti. E regole e statuti a livello produttivo e territoriale mantenendo una non meglio specificata cornice nazionale.

La strada dello "Statuto dei lavori", "attenta ai meriti e ai bisogni della persona", si legge nel documento che illustra il Libro bianco diffuso dal ministro, "presuppone un diritto del lavoro sostanziale governato da un autonomo ed efficiente sistema di relazioni industriali più che dalla logica tutta formalistica della norma inderogabile di legge”. Una concezione “burocratica dei rapporti di lavoro che alimenta un imponente contenzioso e un sistema antagonista e conflittuale di relazioni industriali". Il che significa probabilmente che per il lavoratore licenziato, in futuro, non ci sarà più la possibilità di ricorrere a un magistrato. Che la legge metterà meno bocca tra lavoratore e azienda, lasciando spazio ai rapporti di forza.

"I tre diritti fondamentali del lavoro - salute e sicurezza, apprendimento continuo ed equa remunerazione - possono essere esaltati - continua il documento - e meglio perseguiti nella ottica unitaria dello Statuto dei lavori ipotizzato da Marco Biagi quale corpo di tutele progressive del lavoro costruite per geometrie variabili in funzione della anzianità di servizio e del reale grado di dipendenza economica del lavoratore". A quel punto le stesse proposte di incidere sul regime del recesso dal rapporto di lavoro "potranno realizzare un maggiore consenso collegandosi a un congruo periodo di inserimento e collocandosi in un moderno sistema di tutele attive. La maggiore enfasi sulle tutele nel mercato potrebbe anche facilitare la ricomposizione delle carriere e dei percorsi lavorativi - nella transizione da attivo, inattivo, dipendente, coordinato, in formazione - mediante meccanismi di ricongiunzione e totalizzazione".

Probabilmente tenendo conto delle “scottature” degli anni passati, il ministro Sacconi in conferenza stampa risponde in modo molto diplomatico a chi gli chiede se il governo intende o no toccare l’articolo 18. "In un tempo di crisi come quello che stiamo vivendo non possono essere all'ordine del giorno né le riforme degli ammortizzatori sociali, né dell'articolo 18, né delle pensioni", dice Sacconi, spiegando che proprio “non si può dire” se l’intervento sulla norma sarà fatto entro la legislatura. “L’intenzione principale – prosegue Sacconi - è stata di mettere i paletti alla discussione” sull’articolo 18. Nel Libro bianco 'non c'è l'articolo 18 ma si parla del punto di arrivo dello Statuto dei lavori nel momento in cui molti parlano di tutele progressive collegate all'anzianità di servizio'. Semmai, dice il ministro, 'qui c'è un po' un freno perché il Libro dice che le modifiche si affrontano nel contesto di un rafforzamento delle tutele: solo nel ridisegno dello Statuto dei lavori in cui si ricostruiscono le tutele'. Ammette però Sacconi: “Paradossalmente sono molto incalzato dall’onorevole Ichino (giuslavorista, deputato del Pd ed estensore di una proposta di legge al riguardo, ndr) a mettere in discussione l’articolo 18”.

Secondo Sacconi "sono oramai maturi i tempi per assetti regolatori e statuti normativi specifici per tipologia di settore produttivo, ma anche territorialmente diversificati fermo restando uno standard protettivo minimo e omogeneo sull'intero territorio nazionale - soprattutto per quanto riguarda la tutela della salute e sicurezza sul lavoro - volto essenzialmente a scongiurare fenomeni di dumping sociale". "Per restare coerente alla propria ispirazione originaria - spiega ancora il documento presentato dal ministro - e nel contempo sostenere le logiche di sviluppo delle imprese, il diritto del lavoro dovrà in ogni caso superare i limiti della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato in modo da ricomprendere nel suo campo di applicazione generale tutte le tipologie contrattuali in cui sia dedotta una attività lavorativa in senso ampio. Abbracciare ogni forma di lavoro di indiscusso valore economico reso in un contesto organizzativo a favore o nell'interesse di altri rappresenta il primo passo per una graduazione delle tutele in funzione dei meriti e dei bisogni".

Nel Libro si disegna un nuovo Welfare finanziariamente sostenibile nonostante l’invecchiamento della popolazione, e dunque prima o poi (superata la crisi) si tornerà a parlare anche di aumento dell’età pensionabile. Al centro del testo c’è l’integrazione fra servizi pubblici e privati, e soprattutto la ricomposizione della frattura tra Settentrione e Meridione. In tema di sanità, ha detto Sacconi, "abbiamo servizi sociosanitari assistenziali profondamente spaccati tra l'Italia più efficiente e quella inefficiente, con un sud che non ha neanche i servizi territoriali, che ha un sistema ospedalecentrico che mortifica il territorio". Per questo nel Libro bianco "è all'ordine del giorno la sanità meridionale", con "l'accelerazione del risanamento dei servizi socio-sanitari".

"Uno degli strumenti essenziali per la presa in carico globale - si legge ancora - è il fascicolo personale elettronico, destinato a raccogliere le informazioni inerenti le varie fasi della vita, nonché gli interventi preventivi, curativi e riabilitativi e più in generale tutte le informazioni utili per l'integrazione sociale e la partecipazione attiva al mercato del lavoro". Le le “parole chiave” del Libro bianco, ha detto Sacconi, sono “persona, famiglia e comunità, da cui discendono i concetti di opportunità, responsabilità e sussidiarietà".

Si tratta di un testo che ha, addirittura, "l'ambizione di spezzare ogni tentazione nichilista e eccitare la ricerca della felicità". Parola del ministro.

Post scriptum: quando il Libro parla di famiglia, ovviamente intende quella basata sul matrimonio. Gli altri italiani non hanno cittadinanza nel corposo volume.

www.rassegna.it

mercoledì 6 maggio 2009

Cancellate le elezioni delle RSU nel pubblico impiego

Tecnicamente è un colpo di stato. E’ giunta infatti notizia che nel Decreto legislativo attuativo della legge Brunetta sul pubblico impiego, sarà stabilita la proroga delle Rappresentanze sindacali unitarie per altri tre anni. Nella sostanza non si procederà a rieleggere le Rsu alla loro scadenza, ma esse continueranno a operare senza essere state votate. La prima scadenza che rischia di essere cancellata è quella di fine anno, quando, guarda caso, si dovrebbero rinnovare le Rsu della scuola. Cioè quelle nelle quali più si potrebbe verificare il rifiuto della controriforma Gelmini e della subalternità ad essa dei sindacati amici del governo, Cisl, Uil, Ugl e altri. (...)


Il 30 aprile è stata sottoscritta da Cisl e Uil l’intesa separata sulle regole contrattuali per il pubblico impiego, un intesa che, se possibile, peggiora le norme dell’accordo separato del 22 gennaio. Contemporaneamente il governo cancella le elezioni delle Rappresentanze sindacali. E’ evidente quello che sta avvenendo: si sta costruendo un sistema autoritario, un vero e proprio regime sindacale, nel quale la democrazia, il diritto dei lavoratori a scegliere chi li rappresenta e a decidere sulla contrattazione, è semplicemente abolito.
Gli accordi separati non sono stati sottoposti a referendum, da quelli confederali a quello della Fincantieri. In un solo caso si è votato: alla Piaggio, dove Fim e Uilm erano sicure di vincere. Ora non si dovrebbe votare più per tre anni per le Rsu nei settori pubblici. E tutto questo avviene nel sostanziale silenzio della stampa e dell’opinione pubblica, come se il mondo del lavoro fosse già a parte e i suoi diritti democratici estranei a quelli di tutti i normali cittadini.
E’ una situazione gravissima che nasce dall’accordo politico tra governo, Cisl e Uil e Confindustria di gestire assieme la crisi, cancellando la democrazia e la partecipazione sindacale. Chi nella Cgil continua a illudersi sulla possibilità di ripristinare a breve l’antica unità, è servito. Si può essere uniti con Cisl e Uil solo accettando di essere una minoranza senza diritto di voto. E, soprattutto, accettando che siano il governo e la Confindustria a decidere qual è la rappresentanza sindacale dei lavoratori.

Giorgio Cremaschi