venerdì 18 giugno 2010

FIAT: “L’Azienda sta organizzando per sabato sera una fiaccolata a Pomigliano, precettando i lavoratori alla partecipazione”

I segretari generali della Fiom-Cgil della Campania, Maurizio Mascoli, e di Napoli, Massimo Brancato, hanno rilasciato oggi la seguente dichiarazione.

“Ci giunge notizia dallo stabilimento di Pomigliano che l’Azienda, attraverso i suoi ‘capi’, stia organizzando una marcia, a favore dell’intesa separata sottoscritta il 15 giugno, a cui tutti i lavoratori sono ‘invitati’ a partecipare. Emergono le peggiori tradizioni della Fiat che ripropone, a distanza di trent’anni, una marcia dei 40mila in sedicesimo.”
“Del resto, ci risulta che in queste ore viene impedito l’accesso allo stabilimento per i soli delegati Fiom della linea 147 (che in questi giorni non lavora), mentre non avviene altrettanto per i delegati delle altre Organizzazioni sindacali. Così come ci risulta che, dal momento che le Organizzazioni che hanno sottoscritto l’accordo non hanno organizzato assemblee per illustrarne i contenuti, per la giornata di lunedì (in cui non è prevista la ripresa di attività produttiva), l’Azienda stia invitando i lavoratori a presentarsi ‘volontariamente’ in stabilimento affinché possa provvedere essa stessa a tale adempimento.”
“La Fiom denuncia queste cose all’opinione pubblica e riconferma l’orientamento assunto a tutti i livelli dell’Organizzazione: il referendum del 22 è illegittimo e pertanto il suo esito non è per noi in alcun modo vincolante; la Fiom, in ogni caso, non firmerà il testo sottoscritto separatamente che contrappone lavoro e diritti; i lavoratori sono sottoposti a un ricatto e per questo li invitiamo ad andare a votare al fine di evitare ritorsioni individuali.”

Pomigliano: militarizzazione bismarkiana del lavoro industriale regolare di Eugenio Orso


Se molti, a partire da certi intellettuali marxisti “scientifici”, hanno archiviato durante il Novecento l’imbarazzante discorso sull’Alienazione del giovane Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, oggi tale discorso ritorna prepotentemente di attualità, anche nella stessa Italia, insieme alle nuove forme di alienazione indotte dal capitalismo del terzo millennio e dalla globabalizzazione neoliberista.
L’Alienazione marxiana dell’operaio di fabbrica, prepotentemente suscitata già nel diciannovesimo secolo dall’attivazione e dall’espansione dei rapporti di produzione capitalistici, convive con lo Schiavismo classico dai lineamenti precapitalistici, con il Neoschiavismo precario e con le più raffinate, invasive e ideologico–culturali forme d’alienazione che lo scrivente ha sintetizzato nell’espressione di Meta-alienazione.
Tutte queste forme coesistono nello stesso tempo storico e non di rado all’interno di molte formazioni sociali particolari, come ho già cercato di spiegare in altra sede, ma oggi è bene concentrare l’attenzione sulla forma storica dell’alienazione che riporta al pensiero e alle analisi del giovane Marx, suscitata dal capitalismo ottocentesco, perché oltre a non essersi affatto “estinta” nello spazio finanziarizzato e globalizzato, sta riacquistando una certa importanza.
E certamente vero che una forma di alienazione, di estraniazione della forza–lavoro, molto simile a quella marxiana legata alle spietate dinamiche produttive e sociali della prima industrializzazione, ha interessato lo sviluppo capital-comunista cinese fin dai suoi inizi ed è osservabile anche oggi nelle aree di rapida e selvaggia industrializzazione di quello che fu l’impero di mezzo.
Questa forza–lavoro, in non pochi casi, è costituita da contadini di recente urbanizzazione che hanno in questi giorni intrapreso una lotta per migliorare le loro condizioni economiche, chiedendo aumenti salariali e proclamando scioperi – che colpiscono la Honda delocalizzata come la Toyota – nelle ormai storiche regioni manifatturiere cinesi, a partire dal Guangdong.
Inutile dire che non si tratta, con buona probabilità, di vere proteste anticapitaliste, con la riaffermazione di una “speranza” esterna al sistema, ma di rivendicazioni per miglioramenti economici e di paga dei subalterni che non mettono in discussione, dalle fondamenta, il “mercatismo orientale” e il modello dell’”economia socialista di mercato” il cui successo, la cui vertiginosa espansione è stata resa possibile proprio dai meccanismi attivati a livello planetario dalla globalizzazione neoliberista.
Un’inedita stagione di rivendicazionismo sociale – ancorché interno al capital-comunismo mercatista – ha avuto inizio in Cina, in questi giorni?
Potrebbe anche essere, e osserveremo gli sviluppi futuri di queste lotte e la loro eventuale diffusione, ma c’è un insidioso elemento di novità, di questi tempi, che investe l’Europa e nella fattispecie l’Italia, e riguarda il lavoro operaio e dipendente in fabbrica.
In breve, è in atto un tentativo epocale, in un paese cosiddetto sviluppato quale dovrebbe essere appunto l’Italia, di spostare indietro le lancette dell’orologio della storia e di tornare a quella sciagurata condizione – ossia la condizione dell’operaio-proletario della prima industrializzazione, ridotto a merce umana – per una spietata, “ricardiana” compressione dei salari e dei diritti.
Il recentissimo caso delle condizioni poste da Fiat Auto [l’”agente strategico” Marchionne e suoi referenti] ad alcune migliaia di lavoratori campani in quel di Pomigliano d’Arco, con la clausola della limitazione del diritto di sciopero pena il licenziamento, la turnazione selvaggia, gli straordinari imposti liberamente dall’azienda, la malattia “approvata”, le pause mensa che saltano per le superiori esigenze della produzione, eccetera, ne costituisce la miglior [anzi, la peggior] testimonianza.
Come dire che in una società che si vorrebbe [eccezion fatta per la Lega e per alcuni componenti del PdL, che immaginano una società ancora peggiore dell'attuale] popperianamente “aperta”, votata in apparenza ad un multiculturalismo tollerante e includente, rispettosa dei “diritti individuali ed umani”, attenta alle “libertà dell’individuo”, fondata su un dettato costituzionale formale “avanzato”, si impone una pesante militarizzazione bismarkiana del lavoro industriale regolare, diminuendo in modo sostanziale diritti e tutele, come se operai, impiegati, lavoratori dipendenti non appartenessero a questa stessa società, come se non fossero meritevoli di tutela alcuna, costituendo puri strumenti per il profitto e la creazione del valore finanziario, e rappresentassero materie prime indispensabili ma problematiche da “razionalizzare”.
Il caso Fiat dimostra che la tendenza sarà quella di creare delle zone “di libero scambio” sotto la sovranità assoluta del Capitale finanziarizzato e mobile anche in Europa occidentale, delle autentiche “zone franche” sottratte, anzitutto per quel che attiene la tutela del lavoro, alla garanzia rappresentata da fastidiose legislazioni giuslavoristiche in essere, dai contratti nazionali di categoria, dallo stesso dettato costituzionale ed infine, come già si può temere, sottratte anche all’applicazione delle norme penali.
Se tutto ciò si concretizzerà, se la Fiat riuscirà ad imporre una prima volta in Campania il suo nuovo modello aziendal-autoritario “armonizzato” con le esigenze globali del Capitale ultimo, se il grande stabilimento di Pomigliano d’Arco fungerà concretamente da “apripista” per un’estensione dell’applicazione del modello ben oltre la Fiat, le condizioni di lavoro e di vita dell’operaio italiano tenderanno sempre di più ad approssimare quelle, ancor oggi decisamente peggiori, dell’operaio cinese.
Nel contempo, se prevarrà la Fiat spalleggiata da un governo complice, da un’opposizione sistemica amebica e vigliacca, dai sindacalisti gialli e da intellettuali-cortigiani, vi sarà un’ultima, decisiva sconfitta di quella parte del sindacato italiano – rappresentata essenzialmente dalla Fiom – che non si è venduta e non ha intenzione di vendere fino alle estreme conseguenze la pelle dei lavoratori, e giungerà a definitivo compimento quel processo storico di “rotta di classe” iniziato nel lontano 1980 con la “marcia dei quarantamila” quadri e impiegati Fiat a Torino, ed innescato al fine di neutralizzare una volta e per tutte l’Antagonismo, per spezzare un’opposizione sociale e politica all’epoca ancora forte e per distruggere fino alle fondamenta la coscienza della classe subalterna novecentesca.
Se vi sarà un referendum, come sembra dovrà accadere il 22 di questo mese e limitatamente allo stabilimento di Pomigliano, i votanti saranno lavoratori terrorizzati di perdere il posto di lavoro e i già scarsi mezzi di sussistenza, quindi esposti al ricatto dell’agente strategico globalista/ macellaio sociale Marchionne, nonché pressati dalla maggioranza dei sindacati e dalla sconcia politica sistemica [sono tutti favorevoli all’accordo, questi loschi figuri, da Berlusconi e Sacconi a Veltroni e Bersani] che punta alla definitiva capitolazione dei lavoratori, per far di loro ciò che si vuole.
Si nota che in questo caso piena è la smentita della melensa favoletta sistemica del “lavoro libero”, che dovrebbe animare il mondo capitalistico, e della universalizzazione delle fantomatiche “libertà individuali” a tutti garantite.

La situazione è perciò gravissima, se vista in combinata con la manovra finanziaria tremontiana che massacra lo stato sociale, riduce i servizi pubblici, non tocca evasione e privilegi e apre le porte ad un’ultima, finale stagione di de-emancipazione e ri-plebeizzazione di buona parte della popolazione italiana.
La "battaglia di Pomigliano" per una militarizzazione bismarkiana del lavoro regolare in fabbrica, pur riguardando direttamente e in apparenza soltanto qualche migliaio di lavoratori metalmeccanici, ha un enorme valore simbolico e potrà rivelarsi decisiva.
Perciò riporto di seguito una mail che mi è stata girata, oggi, da ambienti della Fiom giuliana, datata 16 giugno e scritta da dipendenti Fiat che si trovano in “prima linea” nell’impari scontro … e che indubbiamente vale più di tutte le mie parole:

http://pauperclass.myblog.it/

Lettera dei lavoratori Fiat di Tychy a quelli di Pomigliano

La lettera di un gruppo di lavoratori della fabbrica di Tychy, in Polonia, ai colleghi di Pomigliano d'Arco che stanno per votare (il 22 giugno) se accettare o meno le condizioni della Fiat per riportare la produzione della Panda in Italia. 

(Questa lettera è stata scritta il 13 giugno, alla vigilia del referendum a Pomigliano d'Arco in cui i lavoratori sono chiamati a esprimersi sulle loro condizioni di lavoro. La Fiat ha accettato di investire su questa fabbrica per la produzione della Panda che al momento viene prodotta a Tychy in Polonia. I padroni chiedono ai lavoratori di lavorare di sabato, di fare tre turni al giorno invece di due e di tagliare le ferie. Tre sindacati su quattro hanno accettato queste condizioni, la Fiom resiste)

"La Fiat gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d'Europa e non sono ammesse rimostranze all'amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend)
A un certo punto verso la fine dell'anno scorso è iniziata a girare la voce che la Fiat aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L'anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione.
Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo 'Giorno di Protesta' dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l'anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere?
Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.
In questi giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla Fiat che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione.
E' chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente.
Per noi non c'è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l'azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso.
Lavoratori, è ora di cambiare."

mercoledì 16 giugno 2010

Accordo separato a Pomigliano. Le lavoratrici e i lavoratori Fiat non ci stanno: raccolta di firme contro il ricatto dell’azienda

Questa mattina, su sollecitazione delle lavoratrici e dei lavoratori, è stata avviata, da parte dei delegati della Fiom-Cgil delle Carrozzerie di Mirafiori, una raccolta firme contro l'accordo separato siglato ieri dalle altre sigle sindacali per lo stabilimento di Pomigliano. Solo alle Carrozzerie, nel giro di poche ore, sono già state raccolte oltre un migliaio di firme.
Nei prossimi giorni, l'iniziativa verrà estesa agli altri stabilimenti del gruppo. Domani saranno raccolte le firme alla Fiat di Cassino e alla Sevel di Atessa, in Val di Sangro. In quest’ultimo stabilimento saranno effettuate due ore di sciopero per turno – dalle 9 alle 11 e dalle 16 alle 18 – durante le quali si terranno le assemblee davanti ai cancelli.
Nel testo, indirizzato a Sergio Marchionne, ad della Fiat, che le lavoratrici e i lavoratori stanno sottoscrivendo si legge, tra le altre cose, che «di fronte alla possibilità di vedere la produzione aumentare negli stabilimenti italiani siamo pronti a fare la nostra parte, ma questo non può avvenire a scapito dei nostri salari, dei nostri diritti, della nostra dignità e della possibilità di contribuire a migliorare la nostra vita e la stessa impresa in cui lavoriamo».
«Fare la nostra parte – conclude l’appello – per noi vuol dire sforzo e lavoro ma anche e allo stesso modo difesa della nostra salute e dei nostri diritti. La messa in discussione di questi per i lavoratori di Pomigliano è per noi la messa in discussione dei nostri: per questo siamo con loro, ci consideri in campo.»

lunedì 14 giugno 2010

Il no della Fiom al documento Fiat, le proposte per riaprire la trattativa

Venerdì 11 giugno il Gruppo Fiat ha confermato, in un incontro al ministero dello Sviluppo economico, la scelta di cessare l’attività di Termini Imerese, trasferendo in Polonia la produzione della Ypsilon entro il 21 dicembre 2011, e permanendo l’assenza di reali e concrete soluzioni industriali, ciò significa cancellare oltre 2.200 posti di lavoro e una delle più importanti attività industriali di tutta la Sicilia.
Nella stessa giornata, il Gruppo Fiat ha condizionato l’investimento di 700 milioni di euro per produrre nel 2012 la Panda a Pomigliano all’accettazione di una proposta ultimativa, non negoziabile, che nel delineare un nuovo sistema di utilizzo degli impianti e di organizzazione del lavoro deroga all’applicazione del Ccnl e di diverse norme di legge in materia di sicurezza e salute sul lavoro e nel lavoro a turni.
Ci riferiamo, ad esempio, al fatto che le condizioni della Fiat sanciscano che:
-        Lo straordinario obbligatorio passa da 40 a 120 ore annue con possibilità per l’azienda di comandarlo come 18° turno, nella mezz’ora di pausa mensa, nei giorni di riposo, per recuperi produttivi anche dovuti a non consegna delle forniture;
-        Le pause sui montaggi si riducono da 40 a 30 minuti giornalieri;
-        Si può derogare al riposo di almeno 11 ore previste dalla legge da un turno all’altro per il singolo lavoratore;
-        L’azienda può decidere di non pagare il trattamento di malattia contrattualmente previsto a suo carico;
-        L’azienda può modificare le mansioni del lavoratore senza rispettare il principio dell’equivalenza delle mansioni;
-        L’azienda ricorre per 2 anni alla Cigs per ristrutturazione senza rotazione, con l’obbligo del lavoratore alla formazione senza alcuna integrazione al reddito.
Inoltre, la proposta ultimativa della Fiat contiene un sistema sanzionatorio nei confronti delle organizzazioni sindacali, delle Rsu e delle singole lavoratrici e lavoratori che cancella il diritto alla contrattazione collettiva fino a violare le norme della nostra Costituzione in materia di diritto di sciopero e lincenziabilità.
Mentre Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno aderito alla posizione della Fiat, la Fiom-Cgil ha dichiarato inaccettabili tali proposte e richiesto alla Fiat di non considerare concluso il negoziato.
Il Gruppo Fiat ha preso atto delle adesioni, ribadito che la proposta era conclusiva e non negoziabile e nel caso la non firma della Fiom avesse determinato l’inapplicabilità di tali contenuti si sarebbe riservata di valutare la conferma o meno dell’investimento a Pomigliano.
La scelta della Fiat segna un passaggio di fase radicale nel sistema delle relazioni industriali affermando il superamento dell’esistenza del Contratto nazionale e assume pertanto una valenza generale che coinvolge l’intera categoria.
Se si afferma il principio che per investire in Italia è necessario derogare dai Ccnl e dalle Leggi si apre una voragine che indica quale uscita dalla crisi la riduzione dei diritti, dei salari e una modifica di fatto della Costituzione sociale e materiale.
Il Comitato centrale della Fiom, a partire dal Piano industriale della Fiat presentato il 21 aprile 2010, considera necessario mettere in campo tutte le iniziative utili a realizzare la difesa, l’innovazione e lo sviluppo delle produzioni automobilistiche in Italia e dell’occupazione. Rivendichiamo la definizione, frutto di un confronto tra tutte le parti, di un piano di intervento pubblico sul terreno della mobilità sostenibile e dello sviluppo della tecnologia alternativa, compresa la mobilità elettrica, e di un reale coordinamento tra le varie istituzioni.
La Fiat, nello stabilimento di Pomigliano, ha dato disdetta degli accordi aziendali in materia di orari di lavoro e organizzazione della produzione e in sostituzione ha proposto un nuovo accordo i cui contenuti sono quelli prima richiamati condizionando gli investimenti all’accettazione da parte di tutte le organizzazioni sindacali.
Pertanto, in assenza di una soluzione aziendale condivisa tra tutte le parti stipulanti, l’unico strumento in vigore e condiviso in materia di orario e organizzazione del lavoro è il Contratto collettivo nazionale.
L’applicazione del Ccnl permette alla Fiat la definizione di un regime di orario articolato anche su 18 turni, previo esame congiunto con le Rsu e l’utilizzo di 40 ore pro capite di straordinario comandato.
Ciò permette alla Fiat di avere garantita una produzione annua di oltre 280.000 Panda con una produzione giornaliera su 3 turni di 1.050 vetture che sono gli obiettivi dichiarati dal Gruppo per realizzare gli investimenti a Pomigliano.
Se la Fiat sceglie di applicare in tal modo il Ccnl e le leggi, la Fiom ne prende atto senza alcuna opposizione, disponibili ovviamente ad una applicazione anche delle parti più rigorose e severe.
Non accedere a questa soluzione renderebbe evidente che per la Fiat l’obbiettivo non è né quello della produzione né quello della flessibilità/compatibilità produttiva, ma come evidenziato dalle dichiarazioni dei ministri Sacconi e Tremonti l’obiettivo diventerebbe quello di voler affermare il superamento del Ccnl e aprire la strada al superamento dello Statuto dei diritti dei lavoratori.
Il Comitato centrale della Fiom ribadisce inoltre che deroghe al Ccnl e la messa in discussione di diritti indisponibili non sono materia a disposizione della contrattazione, sia nei singoli stabilimenti che a livello nazionale. Tanto meno, possono essere materia di ricatto verso le lavoratrici e i lavoratori che dovrebbero scegliere tra mantenere un posto di lavoro o rinunciare ai loro diritti individuali compresi quelli sanciti dalla Costituzione in materia di sciopero e di contrattazione collettiva delle condizioni di lavoro, elementi che uniscono la libertà e la democrazia di un paese.
Per l’insieme di tali impegni il Comitato centrale condivide e sostiene la scelta di considerare non accettabile il documento conclusivo proposto dalla Fiat per lo stabilimento di Pomigliano e di conseguenza decide che la Fiom non può firmare un testo con contenuti che mettono in discussione diritti individuali, deroghe al Ccnl e con profili di illegittimità in materia di malattia e diritto allo sciopero.
Il Comitato centrale della Fiom ribadisce la piena disponibilità a garantire l’efficienza e la flessibilità produttiva dello stabilimento di Pomigliano attraverso un’intesa che garantisca il massimo utilizzo degli impianti, le flessibilità orarie utili a rispondere alla fluttuazione del mercato, un’organizzazione della produzione che garantisca qualità e produttività, salvaguardando le condizioni di lavoro. Tutto ciò è possibile realizzarlo nell’ambito del Ccnl e delle Leggi esistenti e su tali basi si riapra un vero tavolo di trattativa per giungere ad un vero accordo.
Il Comitato centrale esprime profondo rispetto e massima solidarietà verso le lavoratrici e i lavoratori della Fiat.
La Fiom nazionale concorderà con la Fiom di Napoli le modalità per dare continuità al proprio ruolo di rappresentanza e tutela degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.


Approvato all’unanimità
Comitato centrale Fiom – CGIL