domenica 24 ottobre 2010

Sciopero generale: Epifani deve mantenere l’impegno preso il 16 ottobre

In Francia i sindacati hanno proclamato due giornate ulteriori di sciopero generale. Sono diventati improvvisamente estremisti? No, stanno facendo il loro dovere. Come lo stanno facendo i sindacati spagnoli, greci e molti altri. Come si preparano sicuramente a fare i sindacati britannici, di fronte alle misure di tagli drammatici decise dal governo conservatore.
In Italia Guglielmo Epifani ha preso solennemente in piazza, di fronte a centinaia di migliaia di persone, l’impegno a proclamare lo sciopero generale. Ora questo impegno va mantenuto e non rinviato alle calende greche dei giochi politici e dei confronti con la Confindustria.
Lo sciopero generale dovrà essere proclamato in fretta e dovrà essere rivolto sia al governo che alla Confindustria, che con un patto sulla produttività vuole distruggere i residui diritti del mondo del lavoro. 
Subito dopo la manifestazione del 16 ottobre è stato approvato definitivamente in Parlamento il “collegato lavoro”, con l’introduzione dell’arbitrato. Questo significa colpire in particolare i diritti dei lavoratori precari e di quelli delle piccole aziende non sindacalizzate. E ancora una volta questo avviene con il consenso e la soddisfazione della Cisl e della Uil.
Così come con il consenso di Cisl e Uil si prepara il varo dello statuto dei lavori, che dovrebbe essere il terzo colpo, dopo Pomigliano e l’arbitrato, ai diritti costituzionali del mondo del lavoro.
Tutto questo avviene nel silenzio della politica e nel disinteresse dei mass media. La piazza del 16 ottobre così rischia di essere, al di là delle chiacchiere, semplicemente ignorata. Per questo da oggi diamo il via alla campagna per lo sciopero generale, che va sviluppata in tutte le sedi sindacali, a partire dalla Cgil. Conteremo ogni giorno nel quale lo sciopero generale non viene annunciato, fino alla manifestazione del 27 novembre della Cgil. Allora non si potrà in nessun modo evitare di dire una parola chiara.
di Giorgio Cremaschi

mercoledì 20 ottobre 2010

Verso Roma di Eugenio Orso

Venerdì notte, andando verso Roma da Trieste e dal Friuli, sul treno speciale della Fiom in cui si concentrava la vera opposizione politica e sociale del nord est.
Un viaggio di almeno otto ore, fra discussioni, canti, musica e qualcuno che cercava a tutti i costi di dormire.
Si sapeva che i partecipanti alla manifestazione di sabato 16 ottobre sarebbero stati tanti, e si intuiva che non poteva trattarsi di un’ordinaria adunata sindacale.
Ed infatti, è stato molto di più.
Tempo fa, quando dicevo o scrivevo che soltanto la Fiom, nel desolante panorama italiano, avrebbe potuto rappresentare il nucleo di aggregazione di una nuova opposizione integrale a questo capitalismo, ai suoi modelli, alla sua spietata organizzazione del lavoro, ai suoi miti fuorvianti che generano soltanto ostilità fra le persone e i gruppi ed imbarbarimento nella società, molti aggrottavano le ciglia, alcuni mostravano sorpresa, altri scuotevano la testa, come se si trattasse di una bizzarria.
Il sindacato – questa era la motivazione addotta per blandirmi – non può sostituire il partito, non si presenta alle elezioni, non elegge deputati …
Motivazione ingenua, perché una crisi complessiva come quella che stiamo vivendo, che oltre ad essere economica è anche crisi di civiltà, può far nascere “sul campo di battaglia” soluzioni nuove, e così, andando oltre la separazione gramsciana fra partito e sindacato che poteva avere un senso politico e sociale nel Novecento, una forza come la Fiom, coesa e non disposta a capitolare davanti al “nuovo” che avanza travolgendoci [leggi, davanti al rullo compressore della “globalizzazione senza veli”], può favorire con la sua resistenza propositiva il coagularsi di un'inedita opposizione, fuori della trappola mortale rappresentata dalla liberldemocrazia e dai suoi riti.
Non si tratterà, per come la vedo io, di un vago aggregato, vistosamente eterogeneo, sottilmente moltitudinario e figlio di una situazione politico-sociale molto frammentata, sulle soglie del caos.
Al contrario, sarà un fronte del Lavoro materiale e intellettuale esterno a quella “sinistra di sistema” che ha archiviato definitivamente la questione sociale, e non si costituirà come un “blocco granitico” guidato da un capo carismatico, ma come un movimento-partito-sindacato nato dal basso, da un vero consenso di massa, che dovrà strutturarsi rapidamente, prima che gli eventi precipitino del tutto.
Ritorna, lo possiamo già affermare mettendo da parte un’eccessiva prudenza, la lotta di classe pur in forme diverse da quelle del passato, per ora timidamente ma in futuro con prepotenza, frapponendosi fra il capitalismo transgenico finanziario e il controllo huxleyano/ orwelliano dell’intera società
Venerdì notte, sul treno non c’era il cosiddetto “paese reale”, che è soltanto un’espressione ipocrita usata dalla politica minore italiota, ma il paese vero, fatto di carne e di sangue, quello che non accetta la rassegnazione che gli è imposta giorno dopo giorno, quello che respinge il ricatto di un nuovo capitalismo che vive di ricatti, quello che si indigna ascoltando le piccole tacche dell’epoca asservite totalmente a questo capitalismo, come i Bonanni, gli Ichino, i Brunetta, i Sacconi.
I corpi e le anime compongono il paese vero, ne costituiscono l’essenza, e nel contempo rappresentano una forza in grado di rimettere la storia in movimento.
Credere in ciò non significa essere fuori della storia, confinati irrimediabilmente in un passato che non può tornare, come vorrebbero far credere gli interessati predicatori e cantori della globalizzazione neoliberista, ma significa, al contrario, cercare di dirigere le correnti storiche verso un’altra società possibile.
La manifestazione di sabato è stata vigliaccamente e preventivamente criminalizzata dagli organi di informazione di regime, dal governo, dai sindacati gialli, dalla stampa addomesticata, perché costoro temono come la peste la partecipazione e il giudizio dei lavoratori.
Tutta la parte peggiore di questo paese, quella più spregevole e senza scrupoli – da Maroni a Bonanni – si è prodigata per paventare rischi di disordini, di scontri, di atti teppistici, di vandalismi, nel contempo annunciando una partecipazione ridotta, di poche decine di migliaia di unità e riconducibile a non meglio identificate minoranze di “estremisti”.
Lo spettro delle uova [neppure marce] lanciate contro i covi dei sindacati gialli – i nuovi mercanti di schiavi che fiancheggiano questo capitalismo – è diventato il simbolo di uno squadrismo inesistente, inventato dai media di sistema per delegittimare la sacrosanta protesta sociale.
Si comprende bene, a tal punto, dove sta la vera e l’unica opposizione in questo paese.
Ma non serve arrivare ai centri di potere politico o confindustriale per constatare l’ostilità nei confronti della Fiom, di ciò che rappresenta e degli stessi manifestanti, visto che in certi blog finti alternativi, ma in realtà filo-berlusconiani e filo-leghisti non dichiarati, come ad esempio in uno dei peggiori della serie, Conflitti e Strategie, sono comparsi a cura del “guru” di turno [tale glg] commenti del seguente tenore:
«Attorno alla Fiom non si coagula nulla di buono, le manifestazioni saranno una sempre più brutta copia delle altre che abbiamo visto fin qui. Portano solo caos a favore dell'ammucchiata di sinistra (con centro e spezzoni di destra) che è quella del "più alto tradimento", che ha colorazione tendenzialmente "viola" (e non m'interessa se non verrà inalberato tale colore, sto dicendo il significato reale di queste manifestazioni nel contesto in cui si muovono, quello di tanti tori che vedono rosso appena sentono "Berlusconi"). Non m'interessa se ci saranno anche 10 milioni di persone. Chi non lo capisce, per quanto mi riguarda è pericolosissimo, anche se sapessi che è buonissimo e morale e pieno di "socialità". Non capisce un cazzo di chi sta favorendo con le sue lotte destinate a rimanere solo caotici fermenti, [...] Perciò spero che la manifestazione, se supererà i livelli di una pacifica dimostrazione, venga brutalmente repressa e dispersa. E’ scandalosa un’affermazione del genere? [...]»
Parole ancor più dure e inaccettabili di quelle di Libero e de Il Giornale contro coloro che lottano per il lavoro e il futuro dei figli, come dire che al peggio non c’è limite, che l’ipocrisia non conosce confini, e che contaminazione e idiotismo arrivano fin nei più remoti angoli della rete.
Parole indubbiamente peggiori di quelle dette dal ministro degli interni Maroni, alla vigilia della manifestazione di Roma, il quale evocava il rischio rappresentato da fantomatici «gruppetti che staccandosi dal corteo vanno a spaccare le vetrine. Gli stessi servizi dicono che è una occasione troppo grossa quella di infiltrarsi al corteo della Fiom.»
Ebbene, non si sono visti i gruppetti dediti al vandalismo e non c’è stata occasione per bastonare a sangue – in una catarsi di violenza filo-capitalistica – i civilissimi manifestanti e militanti della Fiom.
Ma questo clima oppressivo e soffocante che avvertiamo intorno a noi, era ed è il clima dell’epoca, il filo neppure troppo sottile che unisce i berluscones a Confindustria, i leghisti agli evasori fiscali, i pidiini alla Cisl.
Sappiamo che in questo inizio di millennio i nemici sono molti e potenti, arroganti e baldanzosi, ben foraggiati dal capitale finanziario, disposti alla menzogna ed al silenziamento della protesta con ogni mezzo.
Costoro si prostrano senza riserve davanti ai dogmi del capitalismo del terzo millennio e ne accettano l’assolutismo.
Convergono da ogni recesso del sistema nel portare l’attacco alla Fiom, nel tentativo di separarla dal paese vero, dalle persone reali e dal lavoro vivo, impedendo una saldatura che potrebbe rivelarsi per loro letale.
Sono tutti dalla stessa parte, dai sindacalisti gialli ai leghisti delle gabbie salariali, dagli impresari locali, avidi di profitto e privi di un orizzonte di sviluppo, ai manager globalisti come Marchionne che giocano con le esistenze degli operai, serbi, polacchi e italiani, dai liberalsocialisti che applaudono le “modernizzazioni” e la flessibilizzazione del lavoro ai finti alternativi, che ci insultano cinicamente e si augurano che ci bastonino [vedi Conflitti e Strategie].
Ma non tutto è perduto e non tutto è “normalizzato”, omologato, idiotizzato, se c’è chi non si rassegna al dopo Cristo di Marchionne, popolato dagli incubi della de-emancipazione di massa e dalla guerra fra i gruppi finanziario-globalisti, e c’è ancora, in questa società prostrata, chi è disposto a rischiare le “cariche di alleggerimento” della polizia sopportando tutte le conseguenze del caso.
Il treno speciale della Fiom partito da Trieste era pieno, quella notte, ma non di “squadristi” da operetta armati di uova della Conad in una surreale marcia su Roma, bensì di militanti che avevano la consapevolezza di vivere un momento storico importante, di essere ad un bivio dal quale si dipartono due strade, l’una che porta alla vittoria per tutto il secolo del capitalismo finanziarizzato a dimensione globale ed alla costruzione del suo allucinante dopo Cristo, fatto di lavoratori poveri e di ineguaglianze sociali enormi, e l’altra che porta alla resistenza dell’intero corpo sociale, alla Rivoluzione ed alla possibilità della liberazione.
In assenza di reazioni, accettando queste dinamiche sistemiche come inevitabili, deponendo le armi davanti alla piccola politica, all’aggressività di Confindustria, agli inganni del sindacalismo giallo, non resterà che percorre a testa bassa la prima strada, ed allora sì che dovremo vergognarci, davanti a noi stessi e davanti alle future generazioni.
Venerdì notte, sul treno che andava verso Roma, eravamo coscienti che non era e non sarà una mera battaglia sindacale – contro il famigerato “contratto leggero” come surrogato del contratto nazionale di categoria, contro l’infamia dell’arbitrato che mette la parte più debole alla completa mercé della parte più forte, contro il nuovo regime disciplinare capitalistico di “Fabbrica Italia” –, ma di un’autentica battaglia culturale e politica, ben oltre i confini del ruolo storico del sindacato.
Certo, bisogna saper cogliere il momento storico favorevole, organizzarsi e lavorare duramente senza aspettare l’evento esterno risolutivo come se fosse la manna dal cielo, ma tutti noi speravamo – essendo uomini e non macchine da lavoro come auspicato da Marchionne e dai suoi sodali – almeno per una volta in un pizzico di fortuna, di buona sorte, ben sapendo, però, che «la fortuna è come vetro: come può splendere così può frangersi» [«Fortuna vitrea est; tum cum splendet, frangitur», Sentetiae, Publilio Siro].
E la fortuna, una volta tanto ci ha sorriso, con un’enorme partecipazione di singoli, di gruppi e di movimenti, ben oltre l’avanguardia dei militanti Fiom, e ci ha regalato una giornata senza incidenti, senza lacrimogeni, senza “cariche di alleggerimento” e vetrine infrante.
Lo stesso Guglielmo Epifani, così attendista, possibilista e prudente ha dovuto prendere atto della situazione ed ha promesso lo sciopero generale per il 27 novembre.
Poi il balletto dei numeri, da quelli falsi e addirittura ridicoli – ottantamila dichiarati dalla questura per star sotto ai centomila fatidici assegnati alla precedente manifestazione dei gialli – a quelli più realistici, che approssimano il milione.
Con rabbia e abituale vigliaccheria, il nemico ci ha accusati di aver fatto una manifestazione politica.
Lo stesso refrain e accuse simili da Sacconi, il macellaio sociale incaricato del welfare [ironia della sorte], a Bonanni, che vedremo esclusivamente “indoor” per evitare il rischio del contatto diretto con i lavoratori …
Ebbene sì, si può ed anzi si deve ammettere con un certo orgoglio: c’era la politica a Roma, sabato 16 ottobre, ma la politica autentica, partecipata, che nasce dalle istanze del paese vero, quella che finalmente ci ha restituito non un paese rassegnato, idiotizzato e attraversato dalla paura, come lo vorrebbero sia il governo sia la Confindustria, ma un’Italia che vuole risorgere e che si fa sentire.
Quello che mancava, in Piazza San Giovanni, era la piccola politica dei circoli parlamentari, fatta di clientele, di familismo immorale e di favori, quella dei salotti equivoci in cui si mescola con gli “affari” o addirittura con gli interessi della criminalità organizzata, e quella posticcia dei cartelli elettorali [Pd e PdL, tipicamente] progressivamente svuotati di contenuti e rappresentanza, se mai li hanno avuti.
Certi di aver vinto una battaglia – quella della partecipazione – al punto tale da poter controbattere alle menzogne del nemico con un secco e sprezzante “contateci!”, come nella canzone diciamo Grazie Roma, rivolgendoci a quella Roma che ci ha ospitati, ai romani che hanno seguito i cortei e applaudito, a quella Città troppo spesso insolentita da gentaglia della fatta di Umberto Bossi.
Ritorneremo a percorrere le sue storiche strade, come la Via dei Fori Imperiali, ad occupare pacificamente le sue piazze per i comizi, a invadere le sue stazioni, da Termini a Ostiense, ancor più numerosi e motivati di quel che eravamo sabato 16 ottobre.
Ritorneremo, perché in fondo l’esito della lotta dipende da noi.

Ddl lavoro, sì definitivo della Camera

Diventa legge il controverso ddl. L'aula l'ha votato con 310 sì, 210 no e 2 astenuti. Arrivano l'arbitrato e l'apprendistato a 15 anni. Cgil in presidio a Montecitorio: "Norme sbagliate e pericolose, pronto il ricorso alla Corte Costituzionale"

Ha fatto la spola per due anni tra Camera, Senato e Quirinale, stavolta è arrivato l'ok definitivo per il ddl lavoro approvato oggi pomeriggio (19 ottobre) nell'aula di Montecitorio. Sono stati respinti tutti gli emendamenti dell'opposizione, per cui il testo rimane quello approvato da Palazzo Madama. Il provvedimento, che era stato rinviato alle Camere dal presidente della Repubblica e su cui si è ultimata la settima lettura parlamentare, è stato approvato con 310 sì, 204 no e due astensioni. Hanno votato contro Pd e Idv; a favore del testo, con la maggioranza, ha votato l'Udc.

La controversa legge introduce l'arbitrato nei licenziamenti e abbassa l'età dell'apprendistato a 15 anni. Il titolare del Welfare, Maurizio Sacconi, continua a difenderne l'impianto, da lui considerato come una sorta di apripista allo Statuto dei lavori più volte annunciato. Nel frattempo anche la Cgil continua la propria battaglia contro una legge che definisce "sbagliata, pericolosa e palesemente incostituzionale". Con questa convizione il sindacato di Corso Italia ha tenuto nel pomeriggio un affollato presidio davanti a Montecitorio mentre i deputati iniziavano la discussione.

Le ultime modifiche
del Senato, infatti, secondo il segretario confederale Fulvio Fammoni, "non rispondono ai rilievi mossi dal Capo dello Stato quando ha rimandato a marzo la legge alle Camere". Il ddl lavoro, osserva, "è una delle leggi più sbagliate e pericolose di questa legislatura perché sovverte il diritto del lavoro italiano, nato per difendere i più deboli". Diversi i punti considerati critici: "Dalla certificazione in deroga ai contratti collettivi nazionali e i vincoli al ruolo del giudice del lavoro - elenca il sindacalista -, all’arbitrato e la clausola compromissoria da firmare all’atto dell’assunzione per impedire la possibilità di ricorre a un giudice in caso di controversie". Inoltre, "l’arbitro che sostituirà il giudice emetterà sentenza ‘secondo equità’ anche in deroga alle leggi e ai contratti nazionali".

Nel mirino c'è anche
l’introduzione dell’apprendistato a 15 anni, che "abbassa l’obbligo scolastico e la soglia del lavoro minorile". Il sindacato annuncia che promuoverà una capillare campagna di informazione ai lavoratori perché "sappiano come difendersi dalle nuove norme".Oltre al ricorso alla Consulta, conclude Fammoni. "stiamo lavorando a un documento per illustrare i profili di incostituzionalità del testo insieme al lancio di un appello per contrastare il ddl con firme di magistrati, costituzionalisti ed esperti del settore".

www.rassegna.it

martedì 19 ottobre 2010

16 ottobre: non fate i Gattopardi

Spesso non capita una seconda occasione. Dal 2001 al 2003 un grande movimento di lotta ha contrastato in Italia la globalizzazione liberista. Quel movimento è stato poi abbandonato a se stesso e, infine, messo ai margini e ignorato nei due anni catastrofici del governo Prodi. Ora abbiamo un'altra occasione. La manifestazione di sabato è stata ben di più di una pur eccezionale mobilitazione dei metalmeccanici contro gli accordi separati, per il contratto nazionale e i diritti. E' stato un incontro di popoli dispersi, che si ritrovavano assieme dopo anni di lotte frantumate e spesso deluse.Una differenza di fondo comunque c'è, rispetto ai primi anni del nuovo secolo. Allora nasceva un grande movimento di opinione, che portava qui in Italia gli echi di un risveglio delle coscienze che avveniva in tutto il mondo. Oggi la globalizzazione, il suo attacco frontale ai diritti sociali e costituzionali, ce l'abbiamo in casa. Chi era in piazza sabato raccontava di lotte concrete contro la globalizzazione qui ed ora. Per questo il movimento di oggi è radicato nella sofferenza sociale e per questo è ben più esigente di risposte concrete.Si è cercato di marginalizzare, o persino criminalizzare, la manifestazione della Fiom. Fallito clamorosamente questo obiettivo, ora si tenta la classica operazione di assorbimento. Nel paese del Gattopardo, adesso comincia l'attenzione verso il popolo che è sceso in piazza sabato e verso la Fiom, senza però dare risposte vere. Sul piano sindacale restano la violazione dei diritti a Pomigliano e la sua estensione a tutti i metalmeccanici. Non c'è contratto dell'auto o altro pasticcio che possa cancellare questo drammatico attacco ai diritti dei lavoratori. Si deve andare avanti fino a riconquistare il diritto ad un contratto nazionale degno di questo nome.Sul piano economico-sociale è evidente che il patto Sacconi, Confindustria, Cisl e Uil non tiene. Perché la crisi va avanti, le risposte non ci sono e le lotte si estendono, in Italia come in Europa. Di questo si sono accorti gli industriali e tanti poteri economici, da qui il tentativo di far rientrare in gioco la Cgil con un patto sociale che dovrebbe continuare le politiche dei sacrifici di questi anni, senza però le provocazioni e le asprezze di Sacconi. Il popolo in piazza sabato non si accontenta di questo e pretende una svolta reale. Chi non ha pagato sinora nulla della crisi deve cominciare a pagare. Per questo ci vuole e si chiede con forza lo sciopero generale e non il patto sociale.Anche a livello politico la piazza di sabato chiede di cambiare. Nessuno può metterci il cappello sopra, magari per riproporre l'ennesima riedizione di quel centrosinistra, da cui quel popolo è stato abbandonato e deluso nel passato. Se si vuole davvero rappresentare quella piazza e quelle persone, si devono abbandonare i vecchi giochini e i vecchi schieramenti. La manifestazione del 16 ottobre esige una svolta democratica nel sindacato, nella sinistra, nel paese.

Giorgio Cremaschi  Liberazione del 19/10/2010

lunedì 18 ottobre 2010

Una speranza cammina insieme alla Fiom

«Noi non diamo numeri, contateci voi». Bella trovata questa della Fiom, in polemica con i ministri che prevedevano tra le 20 e le 40 mila persone. Noi del manifesto ci siamo consultati e abbiamo concluso di non essere capaci di contare così tante persone, operai e studenti «uniti nella lotta», colf e migranti, anziani che hanno conquistato quei diritti che oggi si vorrebbero togliere ai figli e ai nipoti. C'è chi parla di un milione, ma vai a sapere. E, soprattutto, chissenefrega. Ieri nelle strade e nelle piazze di Roma ha camminato una speranza: cambiare si può. Speranza che non trova albergo nella «Politica» ma oggi ha un orgoglioso compagno di marcia: la Fiom.«Meglio lottare danzando che vivere in ginocchio». Saranno quei burloni degli operai di Pomigliano che improvvisano una tammuriata in piazza della Repubblica? Invece no, sono le Chejan celen, «Zingare spericolate», ragazze e bambine inserite in un progetto di alfabetizzazione dei rom. Sono italiane da tre generazioni ma non hanno diritto a esserlo per la nostra legge.Ecco perché sfilano con i metalmeccanici e addirittura si esibiscono in bellissime danze al ritmo di musiche zigane, perché la Fiom ha messo al centro di una delle più straordinarie manifestazioni della storia d'Italia proprio i diritti. Quelli degli operai a lavorare con dignità, dei sindacati degni di questo nome a contrattare, degli studenti a studiare e degli insegnanti a insegnare, dei precari a riacciuffare per la coda un futuro oggi negato, dei migranti a essere considerati persone uguali alle altre persone. Tutti portatori di diritti sociali, civili, di cittadinanza. Diritti indivisibili, da difendere e spesso da riconquistare in un'Italia classista e ingiusta rifondata sui privilegi.Trascina l'emozione della piazza Maurizio Landini, il nuovo segretario generale della Fiom, quando dice che di quel che sta succedendo a Roma e in Italia, di questa domanda collettiva di dignità, partecipazione, democrazia, bisogna ringraziare, prima e più che la Fiom, gli operai di Pomigliano e di Melfi che non hanno chinato la testa di fronte all'arrogante pretesa del padrone di scambiare lavoro ipotetico con diritti certi. I diritti, semmai, vanno estesi a tutti sennò si riducono a privilegi.Chi è in piazza, come questi operai della Fiat, non vuole o non vuole più chinare la testa. Due cortei sterminati hanno raccontato tante cose a una Roma finalmente attenta e qua e là anche partecipe. La fatica di lavorare e vivere in una crisi spietata, gestita per di più da un governo spietato perché «servo», come sta scritto su tanti cartelli. Alcuni un po' scorretti. Servo «dei padroni», naturalmente, di «Marchionne cetnico, Bonanni maggiordomo» per dire che al servizio del modello sociale preteso dall'uomo miracoloso della Fiat di «servi» ce ne sono molti. Più che contro Berlusconi, la piazza rossa della Fiom è contro un modello sociale e politico in cui l'operaio è pura variabile dipendente, appendice della macchina a cui lavora e al tempo stesso combattente arruolato con la forza del ricatto in una guerra globale che non è di classe ma tra navi nemiche in cui stanno tutti insieme, padrone, manager e tute blu per combattere contro un'altra nave modellata allo stesso modo alla conquista, come l'altra, del dio mercato. Mors tua vita mea, siamo in guerra. Ne parliamo con gli operai dei «cantieri navali in lotta» che ci spiegano come la stratificazione della nave sia classista perché c'è chi rema e chi spartisce i dividendi, ma lo è già «al momento della sua costruzione»: alla stiva lavoratori immigrati senza diritti, ai primi piani dipendenti delle ditte appaltatrici e subappaltatrici e solo ai piani alti i «nostri» operai. Che però stanno massicciamente con la Fiom e non si fanno fottere perché sanno che il nemico è l'armatore e i suoi caporali. Questa piazza ragiona e grida contro un modello sociale che punta sulla guerra tra poveri, disoccupati e cassintegrati contro i migranti. Un modello sociale in cui la democrazia dev'essere «governante» ed è insieme un optional rinsecchito, fruibile solo per i ceti abbienti. Tutto il potere in mano a pochi, in politica come all'università, in fabbrica come nei quartieri. Non sopportano Berlusconi le centinaia di migliaia di lavoratori, studenti, pensionati che occupano la Capitale, e non glie lo mandano a dire. Ma temono, forse ancora più di Berlusconi, il partito del potere vero: quello di Marchionne, Marcegaglia e Montezemolo che «potranno anche essere alleati di qualcuno, ma non di questa piazza», dice un giovane di un centro sociale torinese.È ovvio vedere sfilare Emergency che chiede il ritiro delle nostre truppe dall'Afghanistan, dato che la Fiom è per il ritiro. È ovvio che sfili Libera per chiede legalità perché la Fiom chiede legalità, anzi spiega che la frantumazione del ciclo produttivo con la moltiplicazione di appalti e subappalti è l'ascensore che favorisce l'appropriazione dell'economia da parte della criminalità. I migranti cercano casa, diritti e lavoro e sono ora sparsi ora concentrati negli spezzoni dei cortei. Nella Fiom vedono una casa. All'Ostiense lo spezzone Fiom di Reggio Emilia è tricolore non per bandiere rigidamente rosse ma grazie alla presenza di operai indigeni, africani e asiatici. Dal Veneto sono calati in massa sia gli operai di Landini che i giovani dei centri sociali, così come dalle Marche. L'orgoglio di essere Fiom, innanzitutto. Gridato da Melfi, da Pomigliano, da Mirafiori, dallo spezzone più incazzato che apre il corteo di piazza della Repubblica, quello Termini Imerese che in coro canta «sciuri, sciuri, sciuriti tutto l'anno, e Marchionne va a jettari u sangu». Precisa la segretaria della Fiom siciliana che «da noi gettare il sangue vuol dire faticare». E noi ci crediamo.La pensionata di Macerata e la zingara spericolata, il pacifista trentino e il cassintegrato autorecluso all'Asinara, il No Tav della Valle di Susa e persino i venditori di fischietti chiedono una cosa: la riunificazione delle lotte che si incrocia con la riunificazione del lavoro chiesto dagli operai arrivati, ancora una volta e più numerosi e decisi di sempre, a Roma. «Basta con le escort e le case a Montecarlo», chiede un cartello. Inutile dire di cosa si debba occupare la politica, di lavoro, democrazia, diritti, legalità. «Di contratti, per dio», grida il pensionato abruzzese. Ma c'è anche chi chiede «10-100-1000 Same» portando in corteo uova finte.Di miracoli ieri se ne sono visti molti, a Roma: i soggetti organizzati, chi si batte per l'acqua pubblica e i beni comuni, chi guida le battaglie contro il precariato, chi chiede un reddito di cittadinanza, chi vuole una scuola libera e pubblica chi chiede lavoro per sé e galera per i suoi padroni (le maschere dell'Eutelia), tutti questi pezzi di mondo hanno iniziato a camminare insieme. C'è addirittura chi parla dello «spirito di Genova». Inutile ricordare che anche la Fiom, nel G8 del 2001, c'era, insieme a chi gridava «un altro mondo è possibile».Il secondo miracolo romano è che dal palco tutte queste domande e sensibilità sono state raccolte nell'intervento di Maurizio Landini, un operaio speciale che sa parlare alla sua gente e al popolo multicolore di piazza San Giovanni. «C'è una domanda di cambiamento a cui bisogna dare una risposta». Piace ai comunisti, i tantissimi di Rifondazione ma anche del Pdci, del Pcl, di Sinistra critica. Piace a Vendola e alla Sel, forse piace anche ai tre eroi che trascinano in corteo altrettante bandiere del Partito democratico. E il «nuovo modello di sviluppo» di Landini piace agli ambientalisti, con o senza bandiera verde.Tutti chiedono la stessa cosa: le lotte devono andare avanti, fino allo sciopero generale. Meglio prima che dopo. Lo ricordano senza tregua al segretario generale Guglielmo Epifani al suo ultimo comizio da capo della Cgil.Non sono eroi, sono però degli esempi. Coccolati da tutti, orgogliosi, rumorosi, determinati, allegri persino. Sono gli operai di Pomigliano, quelli dei No a Marchionne da cui è partito tutto questo casino che ha ridato una speranza al paese. Meglio, alle persone per bene. Coccolati sono anche i tre licenziati di Melfi che hanno vinto la causa ma che il padrone tiene fuori dalla fabbrica. C'è anche il manifesto in piazza, con i suoi circoli e i suoi giornalisti, i suoi stand e il suo grido di dolore. Siamo accolti molto bene in piazza, e persino dal palco c'è chi ricorda la resistenza di un giornale amico degli operai, un giornale senza padroni, senza partiti e senza soldi. Un giornale schierato, come e con questi chissà quanti italiani e migranti di buone speranze.

Loris Campetti 
Articolo su il manifesto del 17/10/2010

domenica 17 ottobre 2010

Gli scontri, come gli operai, delocalizzati in Serbia

"Noi vogliamo lavorare ma in modo dignitoso, senza pressioni e ricatti e queste richieste saranno sicuramente sempre un legame tra noi e voi. Vi diamo la nostra piena solidarietà nella battaglia per difendere interessi e dignità comuni e vi invitiamo a rafforzare l'unità tra tutti i lavoratori con l'obiettivo di poter costruire un mondo migliore per i nostri figli"
Zoran Mihajlovic
segretario Samostalni, Fiat Auto Serbia

martedì 5 ottobre 2010

La vera opposizione in Italia di Eugenio Orso

«Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo».
In queste attualissime parole di Antonio Gramsci è racchiusa la sostanza del problema politico e sociale dell’Italia di oggi, in cui non c’è più un’estesa mobilitazione sulle grandi questioni del lavoro e del welfare, che incidono nella carne viva della classe subalterna, e in cui è evidente – accanto ad una “idiotizzazione” di strati sempre più ampi di popolazione, promossa dal subpotere mediatico e politico italiota – il drammatico difetto di partecipazione e di consapevolezza dei soggetti.
Il fatto è che non pochi si “agitano”, in questo paese, appoggiando le false opposizioni, la cui pericolosità per il sistema è bassa o nulla, per rivendicazioni o finte battaglie destinate ad arenarsi e a spegnersi sui binari morti della protesta.
Ma la vera opposizione politica e sociale fa veramente paura ai “servi del sistema” [usiamo pure questa vecchia espressione, destinata a tornare d’attualità], al punto tale che le questioni del lavoro, le agitazioni dei lavoratori a “macchia di leopardo” sul territorio, le proteste di operai e impiegati, di precari della scuola e disoccupati, davanti all’offensiva finale de-emancipatrice e ri-plebeizzante, sono opportunamente silenziate, a partire dai media nazionali fino alla stampa locale, oppure strumentalizzate in chiave negativa e denigratoria dei lavoratori stessi.
Non altrettanto può dirsi per le false opposizioni e le loro iniziative, utili al sistema per distrarre l’attenzione dalle questioni fondamentali dell’epoca.
Le false opposizioni, anche se non sempre godono di “buona stampa”, non subiscono certo la congiura del silenzio che è riservata alle lotte sindacali, alle proteste sul territorio, agli scioperi e alle manifestazioni dei lavoratori, ed infatti, si parla del “popolo viola” che vorrebbe fare una nostrana “rivoluzione colorata”, simile a quella ucraina o georgiana benedette dall’amministrazione USA, delle liste elettorali del comico Beppe Grillo che strapperanno voti e seggi al Pd e porteranno in parlamento una protesta virtuale, delle sfuriate e delle iniziative di quella IdV dipietrista interna al sistema politico che fa discendere ogni male da Berlusconi, o di Vendola che si propone come leader dell’ala sinistra filo-capitalista, ma non si parla, se non per denigrare, accusare di illiberalità o addirittura di “squadrismo”, delle iniziative di lotta concrete, sul territorio, dei lavoratori e delle motivazioni più profonde che animano questi resistenti.
In ciò, tutte le televisioni, tutti i canali d’informazione “ufficiale” e tutti i gruppi editoriali sono uguali, “normalizzati” e aderenti ai sovrani interessi del capitalismo contemporaneo, dai quali non è permesso prescindere e i quali informano, sempre più capillarmente, le linee editoriali e l’autocensura del clero mediatico-giornalistico.
Mentre il popolino vestito di viola, i grillini ed altri “arrabbiati” sbraitano periodicamente nelle piazze contro Berlusconi o assumono iniziative superficiali, fuorvianti, del tutto secondarie, destinate a non avere un impatto decisivo sull’ordine politico e sociale impostoci, se dovesse montare la vera protesta sociale, con riflessi politici concreti e con la nascita di un vero e proprio movimento antagonista, non si potrebbe più procedere così spediti sulla strada della flessibilizzazione selvaggia del lavoro, della precarizzazione esistenziale e della compressione dei redditi dei subalterni, che poi sono le cose che contano e che caratterizzano, da un punto di vista sociale e culturale, il modello di capitalismo in essere e ne garantiscono la riproduzione.
Accanto alle menzogne mediatiche sulla ripresa economica – che può significare soltanto la ripresa delle rendite finanziarie e dei profitti, in quadro capitalistico senza ridistribuzione della ricchezza – appare ormai chiaro che la crisi non ha comportato una revisione in senso keynesiano delle politiche economiche e sociali, per quanto moderatamente e timidamente riformista, tale da non compromettere interamente il potere del capitale finanziario, ma ha consentito ai gruppi globalisti dominanti di “premere sull’acceleratore” per velocizzare lo spietato processo di ristrutturazione sociale in corso.
Se le strutture globaliste europee, come è ormai chiaro, puntano a prendere il controllo dei paesi del vecchio continente, ricattati con le sanzioni, tagliando selvaggiamente salari e pensioni, Marchionne da Pomigliano in poi ha “dato una scossa”, sempre in senso globalista e peggiorativo, non solo alle relazioni industriali in questo paese per un nuovo e più intenso sfruttamento di un lavoro senza diritti, ma anche a coloro che covavano residui di speranza per la ripresa di un possibile, futuro percorso di emancipazione dei subalterni.
Dietro lo spettro della “competitività” a livello globale, si nasconde lo scontro che fra un po’ sarà senza quartiere fra i gruppi di potere globalisti, con i gruppi occidentali il cui potere è minacciato dagli “emergenti”, intendendo con questa espressione non certo gli operai cinesi o indiani – che sono vittime nello scontro planetario quanto noi – ma la dirigenza del partito comunista cinese, i nuovi miliardari cresciuti all’ombra delle riforme capitalistico-mercatiste orientali denghiane e i magnati indiani.
Pressoché tutta la piccola politica interna al sistema, senza distinzioni anacronistiche fra destra e sinistra, nonché i sindacati gialli e compiacenti, gli organi di stampa, le televisioni, convergono con Confindustria [e con Marchionne] nell’affondo finale al lavoro, ed assediano l’unica forza rimasta in Italia, cioè la Fiom all’interno della CGIL, che guida la vera protesta sociale, politica e sindacale.
Gli eventi di questi ultimi giorni confermano che la posta in gioco è alta, e che con o senza Berlusconi – rimosso il quale tornerà il sereno, come si cerca di far credere – Confindustria, Marchionne, sindacati proni, la piccola politica e loro collegati non la smetteranno fin tanto che non avranno piegato totalmente i lavoratori, riducendoli a meri fattori della produzione, o la più a dei moderni iloti, per “competere sul piano globale” e fare profitto.
Ciò rivela il ruolo che in questa divisione internazionale del lavoro è stato assegnato all’Italia dai grandi centri finanziari anglo-americani, dei quali tutti, dall’esecutivo Berlusconi-Lega alla “sinistra” parlamentare sono tributari.
Un ruolo marginale, all’interno degli steccati delle produzioni tradizionali, per giocare il quale servono soprattutto lavoratori dequalificati e sottopagati.
La concorrenza con la Cina – il vero incubo capital-mercatista di questo inizio di millennio – si fa sul costo del lavoro e sui diritti dei lavoratori, violando sistematicamente, se serve, anche la costituzione formale.
Per questo si erigono recinti normativi, con la complicità del governo in carica, con l’aiuto dei falsi sindacati e della “sinistra” liberal-liberataria, in cui relegare lavoratori che non hanno più la qualità di cittadini, ma quella di qualsiasi altra materia prima o semilavorato utilizzato nel ciclo produttivo.
Il giorno 29 settembre è stato siglato l’accordo separato fra la Confindustria e Fim-CISL e Uilm-UIL compiacenti per derogare a tutti gli istituti del contratto nazionale di lavoro, con la scusa del contenimento degli effetti economici e occupazionali [ironia probabilmente voluta, questa ultima] derivanti da situazioni di crisi aziendale, attraverso specifiche intese modificative.
Solo una minoranza ha colto la gravità di questo accordo, siglato in barba al sindacato italiano maggiormente rappresentativo, dato che quello che era il plafond minimo, il contratto collettivo nazionale di lavoro, attraverso la prassi delle deroghe diventerà il massimo ottenibile dai lavoratori, essendo certi che ovunque, all’interno degli organismi aziendali e con il supporto dei sindacati gialli firmatari, si derogherà abbondantemente, erodendo il potere d’acquisto di salari e stipendi e rendendo inoperanti gli altri diritti fino ad ora riconosciuti.
Le “Organizzazioni sindacali stipulanti”, come risulta dal testo del famigerato accordo, sanno bene quello che fanno e sanno cosa significherà tutto questo per i lavoratori.
In pratica, dopo aver diffuso il lavoro flessibile e precario, particolarmente fra le nuove generazioni “colonizzandole culturalmente” e precarizzando la loro intera esistenza, si flessibilizza il lavoro regolare, soggetto ai contratti a tempo indeterminato, quanto ad orari, ritmi, condizioni, straordinari, malattia, pause, eccetera.
Come precisato in apertura, le manifestazioni dei lavoratori e gli scioperi, guidate da quegli “estremisti” della Fiom e dell’Area Programmatica [alla quale aderiscono anche impiegati pubblici, insegnanti, bancari, altro che “estremisti” o sovversivi patologici!], sono spesso ignorati a tutti i livelli dai media italiani, oppure connotati negativamente quando i lavoratori osano alzare, sia pur di poco e simbolicamente, il livello della protesta.
Alcuni esempi?
I lavoratori della Same di Treviglio e i metalmeccanici di Livorno sono assurti ai “disonori” delle cronache non perché hanno aggredito e bastonato datori di lavoro e sindacalisti venduti, non perché hanno aderito alla “critica delle armi” nelle situazioni sempre più disperate in cui versano soprattutto gli operai, ma soltanto per il lancio di qualche uovo, accompagnato da qualche insulto, contro la locale sede della CISL, per quanto riguarda i primi, ed anche contro la sede di Confindustria per quanto riguarda i secondi.
La stampa prezzolata ha subito approfittato per parlare di “squadrismo”, di estremismo, per diffondere una sorta di allarme, come si trattasse di gravissime violenze.
Sul Corriere della Sera di ieri, 4 di ottobre, per fare un esempio qualificante, il pennivendolo-servo Dario De Vico, nell’articolo «La Fiom e la strategia delle uova», stigmatizza i “cattivi” della Fiom e i “cattivi” operai che seguono questa nuova ed indesiderata forza “extraparlamentare”, nel tentativo – secondo De Vico condannabile perché non ci sono di mezzo i suoi sontuosi compensi e i suoi ingiusti privilegi – di ostacolare l’armoniosa collaborazione instauratasi fra Confindustria e sindacati compiacenti, che sola potrà assicurare “competitività” delle strutture produttive nazionali ... naturalmente riducendo all’impotenza ed infine rinchiudendo in una gabbia d’acciaio i lavoratori.
Per quanto riguarda il silenziamento giornalistico delle iniziative dell’unico sindacato rimasto e di tutti i lavoratori consapevoli della situazione, posso portare brevemente il caso di Trieste, per far comprendere a chi ancora non l’avesse intuito come funzionano le cose.
Giovedì 29 settembre la Fiom ha indetto uno sciopero di otto ore, a Trieste, nel locale stabilimento di una delle maggiori industrie metalmeccaniche della Venezia Giulia, la Wärtsilä Italia, di proprietà di un gruppo finlandese, che produce grandi motori ad uso navale.
Per quanto allo sciopero abbia aderito almeno il sessanta per cento dei dipendenti, non una sola riga è comparsa sui giornali locali a titolo d’informazione, e questo a partire dal quotidiano Il Piccolo, che è il più venduto nella zona.
Il giorno dopo, 30 di settembre, la direzione provinciale della Fiom si è riunita in una piazza di Trieste per un incontro pomeridiano aperto alla cittadinanza, che ha avuto un discreto successo in termini di partecipazione ed ha attirato molti triestini per la concretezza dei temi trattati.
Anche in tal caso, non una sola riga sui quotidiani locali, con il chiaro intento di “oscurare” questa iniziativa.
In entrambi i casi non si è avuto un solo incidente, trattandosi di manifestazioni ordinate e civilissime [alla seconda ho partecipato anch’io], e perciò, non potendo essere strumentalizzate mediaticamente in chiave negativa, non potendo procedere alla solita “criminalizzazione” dei partecipanti, in assenza di slogans coloriti e di lanci di uova, si è provveduto a silenziarle, a non far trapelare nulla che le riguardava.
Ciò che non viene raccontato in video, in voce o sulla carta stampata, praticamente non esiste.
Che dire, se questo è il clima, e come si può riassumere in breve la situazione?
Giornalisti e intellettuali sono schierati per ben oltre il 90% con il potere vigente, appoggiano le manovre precarizzanti e flessibilizzanti, sono disposti a legittimare qualunque nefandezza esclusivamente per mantenere i loro privilegi e il loro status, fregandosene delle sofferenze che il prossimo futuro riserverà alla grande maggioranza della popolazione.
Non c’è più alleanza – tanto per scrivere una cosa ovvia, talmente ovvia che si potrebbe tranquillamente omettere – fra quella che è la critica sociale al sistema e la critica intellettuale, da taluni chiamata “artistica”, questa ultima ormai assorbita quasi per intero negli apparati ideologici neoliberali e globalizzanti.
In altri casi, quando non ci sono “pericoli estremistici” e supposte violenze da paventare [lanci di uova? Lanci di insulti meritati?], le notizie passano sotto completo silenzio anche sulla stampa locale, che dovrebbe essere attenta a tutto ciò che si muove sul territorio segnalandolo ai lettori.
Un’ultima considerazione, che non chiude il cerchio, ma completa un poco il fosco quadro generale.
Giovedì 29 settembre, durante la notte, si è consumato un ambiguo attentato a Belpietro, berluscones di rango e direttore del berlusconiano Libero.
Questo attentato, è stato attribuito ad un ignoto, il quale è fuggito nonostante sia stato intercettato sulle scale del condominio dal capo scorta di Belpietro, quando il direttore di Libero già al sicuro nel suo appartamento.
Un paio di colpi in aria, da parte del capo scorta, e poi la fuga dell’ignoto attentatore, che portava una camicia grigia e le mostrine della guardia di finanza.
Tralasciando le incongruenze che caratterizzano la versione dell’oscuro episodio data dal capo scorta, per lo scrivente si tratta di un falso attentato senza conseguenze, che forse sarà seguito, nel prossimo futuro, da episodi simili, volti a diffondere la “sindrome terroristica” nella popolazione, tale da giustificare interventi repressivi diretti essenzialmente contro coloro che ancora animano la vera protesta, quella sociale.
Anzi, non è escluso che possa essere sacrificato un VIP di seconda scelta, come passo successivo e se le agitazioni dei lavoratori – guidati dalla Fiom e dall’Area Programmatica all’interno della CGIL – dovessero riprendere vigore nel paese, e in tal caso non si tratterebbe certo di un atto senza conseguenze, ma di un’azione atta a drammatizzare il pericolo terrorista e a renderlo più concreto …
Quindi, come ha scritto il filosofo politico Antonio Gramsci all’inizio del Novecento, «Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo», riscoprite la parola conflitto, ricomponete in forma nuova le solidarietà di classe fra i subalterni, vincete la paura e l’inerzia per una nuova e partecipata stagione di antagonismo ed emancipazione, ma in modo responsabile, con prudenza e attenzione, dati gli inquietanti segnali che fin d’ora ci giungono.

6 Ottobre - Sciopero

L’accordo siglato  tra Federmeccanica, FIM  e UILM  rende legittime le deroghe  al Contratto nazionale e cancella i diritti dei lavoratori

Per la FIOM CGIL di Trieste è gravissimo l’accordo che sancisce le deroghe al Contratto nazionale sottoscritto il 29 settembre scorso tra Federmeccanica, FIM CISL e UILM UIL.
Cosa prevede l’intesa?
In caso di crisi aziendale o per favorire nuovi investimenti, cioè sempre, si può peggiorare il contratto nazionale e quindi le condizioni economiche e normative dei lavoratori attraverso intese modificative a livello aziendale e per renderle esigibili prevedono la definizione di sanzioni per i rappresentanti sindacali dei lavoratori ed  i lavoratori CHE SI OPPONGONO sui luoghi di lavoro annullando il loro ruolo e negando la loro libertà di decidere.   
 

TUTTO QUESTO E’ AVVENUTO ALL’INSAPUTA DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI METALMECCANICI.
HANNO COMPIUTO UN ATTO ILLEGITTIMO! 


Nell’ambito delle iniziative di lotta indette a livello nazionale che culmineranno con la manifestazione nazionale del 16 ottobre a Roma la FIOM CGIL di Trieste proclama per LE LAVORATRICI ED I LAVORATORI  METALMECCANICI della Provincia di Trieste:

SCIOPERO ULTIME 2 ORE 
DI OGNI TURNO DI LAVORO
PER MERCOLEDÌ 6 OTTOBRE 2010


lunedì 4 ottobre 2010

Per Marchionne la colpa è sempre della Fiom

Le esternazioni di Marchionne sono come le barzellette di Berlusconi. Sono reazionarie, non fanno ridere nessuno, ma servono a coprire la realtà.
Oramai gli attacchi di Marchionne alla Fiom hanno una corrispondenza pressoché millimetrica con i risultati produttivi della Fiat. Tutte le volte che vengono dati i risultati delle vendite in Italia e in Europa, ci si deve aspettare un attacco alla Fiom. Un anno fa la Fiat aveva dichiarato che la quota di sicurezza nel mercato italiano doveva essere superiore al 30% delle vendite, oggi è al 28. In Europa le quote Fiat stanno crollando sotto il 7%, quando l’obiettivo era arrivare a 10. Nello stesso tempo la Volkswagen, i cui operai prendono 2500 euro netti al mese, e che ha sì l’orario flessibile, ma nel senso che quando va male si fanno 28 ore alla settimana e quando ci sono picchi produttivi se ne fanno 40, restando l’orario medio a 35 ore, nel frattempo la Volkswagen vende sempre più macchine.
La Fiat perde quote di mercato in Europa a favore di aziende dove gli operai sono pagati di più e lavorano di meno, ma, naturalmente è tutta colpa della Fiom. Anche il rappresentante degli industriali progressisti, Luca di Montezemolo si sta marchionnizzando. Alla Ferrari si è messo a insultare i sindacati e le Rsu, perché fanno sciopero dopo due anni che non rinnova l’accordo aziendale e vuole imporre orari non contrattati.
La musica è sempre quella, peggio vanno le cose, peggio devono andare per i lavoratori e per quei sindacati che non accettano semplicemente di arrendersi. Le esternazioni di Marchionne sono in realtà l’emblema della crisi italiana. La crisi di un Paese che dovrebbe fare investimenti nel lavoro e nelle politiche industriali, nella tecnologia e nell’innovazione e che invece regredisce chiedendo ai lavoratori di pagare tutto. L’accordo separato che hanno fatto Fim e Uilm per distruggere il contratto nazionale, non è solo una drammatica ingiustizia, ma è anche un danno per l’industria e l’economia del Paese. Con quell’accordo, infatti, si dice a tutti gli industriali: non vi preoccupate troverete il modo di guadagnare aumentando lo sfruttamento del lavoro, non rispettando i contratti, cancellando i diritti. Lo possono fare perché finora gran parte dell’opposizione sta lì a sperare di essere riconosciuta come interlocutore principale di non si sa che cosa, mentre la Cgil ha paura di esprimere i veri sentimenti di coloro che rappresenta. Per queste ragioni bisogna rispondere con fermezza ai discorsi reazionari di Marchionne ed esprimere totale solidarietà ai lavoratori metalmeccanici di Livorno e della Same di Treviglio, la cui criminalizzazione indegna per il lancio di due uova è un ulteriore segno dell’imbarbarimento e della regressione democratica del Paese.


Giorgio Cremaschi

Il 16 ottobre in piazza. Appello di Pietro Ingrao a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori

L'ex presidente della Camera dei deputati Pietro Ingrao invita tutte e tutti a partecipare alla manifestazione del 16 ottobre 2010 promossa dalla Fiom e spiega perchè è importante essere insieme a lottare per difendere diritti conquistati con decenni di lotte.

Deroghe al Contratto Nazionale

HANNO SCRITTO:
Al fine di favorire lo sviluppo economico ed occupazionale mediante la creazione di condizioni utili a nuovi investimenti o all’avvio di nuove iniziative ovvero per contenere gli effetti economici e occupazionali derivanti da situazioni di crisi aziendale, possono essere realizzate specifiche intese modificative, anche in via sperimentale o temporanea, di uno o più istituti disciplinati dal presente CCNL e degli accordi dallo stesso richiamati.
MA VOLEVANO DIRE:
Al fine di favorire la sopravvivenza di CISL E UIL come sindacati preferiti dai padroni, con la scusa della crisi, siamo qui a rinunciare alla centralità del contratti nazionali di lavoro, facendo finta che sia un esperimento temporaneo.

HANNO SCRITTO:
Tali intese sono definite a livello aziendale con l’assistenza delle Associazioni industriali e delle strutture territoriali della Organizzazioni sindacali stipulanti, che le sottoscrivono in quanto coerenti con quanto previsto al comma precedente.
MA VOLEVANO DIRE:
Tali rinunce saranno decise azienda per azienda direttamente dai padroni insieme a CISL e UIL, e nessun altro, perché solo noi abbiamo firmato questo. (non se ne parla di sentire il parere dei lavoratori…)

HANNO SCRITTO:
Le intese modificative dovranno indicare: gli obiettivi che si intendono conseguire, la durata (qualora di natura sperimentale o temporanea), i riferimenti puntuali agli articoli del CCNL oggetto di modifica, le pattuizioni a garanzia dell’esigibilità dell’accordo con provvedimenti a carico degli inadempienti di entrambe le parti.
MA VOLEVANO DIRE:
Per far finta che sia una cosa seria, dovremmo scrivere bene questi accordi al ribasso, giustificandoli attraverso l’invenzione di alcuni obiettivi, fare finta anche che possano essere solo temporanei, ma soprattutto prevedendo sanzioni per gli eventuali ribelli.

HANNO SCRITTO:
Le intese modificative non potranno riguardare i minimi tabellari, gli aumenti periodici d’anzianità e l’elemento perequativo oltrechè i diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge.
MA VOLEVANO DIRE:
Per ora non vi togliamo lo stipendio base (che sarebbe un reato) ma vi togliamo tutto il resto, compreso quei diritti individuali che non derivano da norme INDEROGABILI di legge (chissà cosa si intende per inderogabile…)

HANNO SCRITTO:
Qualora le intese modificative siano promosse da aziende plurilocalizzate, le Associazioni industriali e le strutture territoriali delle organizzazioni sindacali stipulanti individueranno apposite modalità di coordinamento laddove ne ricorra la necessità.
MA VOLEVANO DIRE:
Nel caso che un padrone abbia anche aziende in Cina, assieme a CISL E UIL (e solo loro in quanto stipulanti) – per motivi di “coordinamento” si farà in modo di parificare le condizioni di lavoro a quelle delle aziende cinesi.

HANNO SCRITTO:
Le intese sottoscritte sono trasmesse per la loro validazione alle parti stipulanti il CCNL, e, in assenza di pronunciamento, trascorsi 20 giorni di calendario dal ricevimento acquisiscono efficacia e modificano, per le materie e la durata definite, le relative clausole del CCNL.
MA VOLEVANO DIRE:
Le intese aziendali di deroga al contratto verranno spedite solo a CISL e UIL, che volentieri lasceranno passare 20 giorni senza fiatare, in modo da farle diventare operative.

HANNO SCRITTO:
Sei mesi prima della scadenza del presente CCNL le parti si incontreranno per verificare funzionamento ed efficacia di quanto sopra concordato ed apportare eventuali integrazioni o correzioni qualora ritenuto necessario.
MA VOLEVANO DIRE:
Se non vi pare che ci siamo venduti abbastanza, possiamo trovarci sei mesi prima della scadenza del contratto, e vendervi ancora qualche pezzettino. Tutto è sempre modificabile in peggio.



By Mad

domenica 3 ottobre 2010

Sciopero generale: stop a Confindustria

Da Fiat a Fincantieri, gli imprenditori in mancanza di una azione del Governo stanno agendo “in proprio”.
Sono stato a Palermo e tutti i lavoratori che ho incontrato mi hanno ripetuto che si aspettavano che prima o poi sarebbe successo anche da loro come a Pomigliano. Gli imprenditori stanno usando il ricatto della crisi e il grosso deficit degli investimenti per attaccare alla radice il contratto nazionale. L’accordo separato scritto sotto dettatura Fiat nei metalmeccanici è puntualissimo da questo punto di vista. Siamo in fase di avvitamento della crisi industriale, ed è evidente che quell’accordo serve a lanciare il segnale a tutti gli imprenditori di rivalersi sui lavoratori. E’ una cosa che capiscono tutti perfettamente. E’ una linea di una miopia sociale e industriale come non c’è mai stata prima in Italia.
Ti ha soddisfatto la risposta del segretario generale della Cgil dopo la firma delle deroghe nel settore metalmeccanico?Una risposta totalmente inadeguata. Consiglierei ad Epifani di non usare più la parola dialogo e smetterla di cadere nella trappola. Tutte le volte che l’ha fatto si sono verificati dei guai clamorosi. E’ successo al congresso della Cgil dove le offerte verso Cisl, Uil e Confindustria sono durate lo spazio di una legge finanziaria di 25 miliardi di euro. Sabato scorso, poi, la liturgia del dialogo a Genova, dove persino Marchionne, che ha lanciato alcuni segnali di disponibilità, il giorno dopo ha dettato i contenuti dell’accordo sulle deroghe. Tutte le volte, insomma, alla parola dialogo corrisponde, per il Governo e gli imprenditori, il segnale di resa. La verità è che la Cgil o si arrende e si autodistrugge o lotta sul serio.
Cosa dovrebbe fare quindi?
A tutto questo c’è una sola risposta: lo sciopero generale contro la Confindustria, e quindi la rottura. Essere un sindacato di lotta e di governo è difficilissimo. Essere un sindacato di lotta e di resa è proprio impossibile. Del resto, nell’accordo separato sui metalmeccanici non c’è nulla di più berlusconiano, perché consegna la licenza di uccidere in mano ai padroni, addirittura con il principio del silenzio assenso. Il contratto nazionale, da questo punto di vista, non è più la cornice del minimo, come nel passato, ma il massimo possibile. La contrattazione aziendale quindi non solo interviene al ribasso ma rappresenta una vera e propria picchiata rispetto al contratto nazionale. E’ la legge della giungla. La peggiore controriforma sociale fatta in Italia da decenni a questa parte. Le regole sull’arbitrato completano il quadro. Lasciamelo dire, Cisl e Uil sono le appendici di Berlusconi e Marchionne. O la Cgil prende atto di questa situazione e si dà una mossa oppure sarà stravolta. Per l’ennesima volta ha sbagliato mossa.
Che quadro esce dal seminario di Todi?
Il seminario di Todi è stato un seminario in cui ho visto una storia di altri tempi, come quando si sosteneva che per difendere la scala mobile bisognava tagliarla. La sostanza è stata una negazione della realtà da parte del gruppo dirigente della Cgil. La Confindustria punta nella crisi a una sostanziale regressione sociale. Niente investimenti e conto finale tutto sulle spalle dei lavoratori. Che progresso c’è in questo? Si prepara l’ennesima truffa per cui dicono: fate i sacrifici per avere lo sviluppo. I sacrifici ci saranno e lo sviluppo non ci sarà. Lo sviluppo si fa migliorando la civiltà del lavoro e del paese. L’accordo di Pomigliano è il succo di una ideologia padronale e reazionaria: se vuoi lavorare devi rinunciare a tutto. Ti darò l’elemosina, ma intanto tu rinuncia.
La Cgil dice che il nuovo patto sociale potrebbe cominciare dalla verifica dell’accordo del 2009.
In ogni caso penso che la Cgil debba definire una propria piattaforma sì, ma una piattaforma sociale. Questa piattaforma, poi, deve essere sottoposta a una trasparente consultazione dei lavoratori e degli iscritti. Non voglio neanche pensare all’ipotesi di una Cgil che improvvisamente accetta la proposta di fare un tagliando all’accordo del 22 gennaio.
Epifani sostiene che ci sono alcuni contratti positivi da cui partire.
Le categorie che ancora le deroghe non ce le hanno devono prepararsi a lottare contro per difendersi. Non pensino di cavarsela con quello che hanno firmato.
Veniamo a Fincantieri, con la manifestazione del primo ottobre a Roma. C’entra qualcosa la privatizzazione che non sono riusciti a fare?
Ancora nell’ultimo incontro ci hanno rimproverato perché ci siamo opposti all’entrata in borsa. Se fossimo entrati in borsa ci troveremmo come la Francia, dove i cantieri sono stati comprati dai Coreani e successivamente il governo li ha dovuti rinazionalizzare perché quelli li stavano chiudendo. O c’è il disastro sociale o l’intervento pubblico. A Fincantieri abbiamo chiesto perché chiudevano in Italia e assumevano negli Usa, la risposta è stata che lì l’assunzione veniva imposta dal governo. Non si fa politica industriale lasciando tutto alla centralità del mercato facendo ricadere i costi sulle spalle dei lavoratori.

Intervista di F. Sebastiani a G.Cremaschi. Liberazione, 1 ottobre 2010.