mercoledì 28 dicembre 2011

Firmato Accordo Integrativo Aziendale

Si comunica che in data odierna, 28 dicembre 2011 è stato siglato il nuovo Accordo Integrativo Aziendale approvato dai lavoratori tramite il referendum tenutosi il 6 e il 7 dicembre.
Tale accordo entrerà in vigore dal 1 gennaio 2012.
Si conferma che l'importo di una tantum verrà erogato in data 30 dicembre 2011.

lunedì 19 dicembre 2011

Giorgio Cremaschi: “Barricate per difendere ed estendere l’articolo 18”

Le dichiarazioni di esponenti del governo e della Confindustria che aprono la strada, come peraltro richiesto dalla lettera della Bce, verso la messa in discussione dell’articolo 18 e verso licenziamenti ancora più facili, sono di una gravità inaudita. Mentre la stessa Confindustria annuncia 800 mila nuovi disoccupati per il prossimo anno, si pensa di affrontare la crisi rendendo più facile il licenziamento. Il tutto in nome dei giovani. E’ un’autentica follia. Al contrario, di fronte a questa situazione drammatica sul piano occupazionale, occorrerebbero misure di segno opposto a quelle prospettate, quale il blocco dei licenziamenti e della chiusura delle aziende, l’estensione della tutela dell’articolo 18 a chi non ce l’ha. A questo punto occorre un’azione del movimento sindacale ben più incisiva di quella finora attuata.
Se davvero il governo andrà avanti a gennaio dobbiamo fare le barricate, ci vuole una mobilitazione sociale e politica in grado di fermare il governo e la Confindustria. Su questa materia non ci saranno prove di appello, o travolgeremo il governo, o tutti i diritti del movimento del lavoro ne verranno travolti.

Il fallimento dell’euro

Intervento scritto di Loretta Napoleoni all’assemblea NO Debito di Roma 17 dicembre

Cari compagni, mi spiace molto non essere qui con voi oggi. Vi mando alcune riflessioni sulla situazione economica e sulla politica di austerità del governo Monti.
Iniziamo dalla situazione economica: è ormai ufficiale che l’Europa è in recessione e che nel 2012 ci sarà un’ulteriore contrazione del PIL. Se saremo fortunati rimarremo intorno allo 0,5, 0,7% ma è escluso che ci sia crescita. Ad oriente la locomotiva cinese ha iniziato a rallentare e, sebbene nel 2011 la Cina crescerà di almeno il 9% l’anno prossimo si prospetta una flessione.
I motivi della recessione mondiale sono presto detti: il debito gigantesco dell’Europa Unita, in particolare dei paesi PIIGS, di cui noi facciamo parte. Voi direte: perché tanta preoccupazione quando il debito complessivo di Eurolandia è solo l’80% del PIL dell’area?
Perché l’integrazione che avrebbe dovuto accompagnare la moneta unica non è avvenuta ed oggi. Chi ci presta i soldi, il mercato dei capitali, non guarda ad Eurolandia come un’entità unica ma come un agglomerato di stati.
I vantaggi dell’euro, dunque, stanno svanendo rapidamente: questi erano l’indebitamento a basso prezzo e la garanzia finanziaria dei paesi più ricchi di noi. Rimangono solo gli svantaggi: una moneta troppo forte per la nostra economia e l’assenza di sovranità monetaria: solo la BCE può stampare carta moneta.
Chi ne fa le spese è l’economia reale, e quindi l’industria e gli operai: questi ultimi, in particolare, sono le vittime di un sistema economico che non funziona più. L’unione monetaria poggia sulla teoria dell’area con l’ottima moneta, teoria che sostiene che, quando un gruppo di economie sono molto simili o hanno un’alta flessibilità, avere una moneta comune è un vantaggio. Oggi è a tutti chiaro che tra noi e la Germania ci sono poche similitudini quindi l’unica soluzione per salvare l’euro è la flessibilità. Ciò significa che il costo del lavoro deve scendere per far sì che la nostra economia raggiunga i livelli di competitività di quella tedesca. Ed ecco spiegata la politica di Marchionne che vuole trasformare l’Italia nella Cina europea.
Questo meccanismo però non funziona proprio a causa dell’euro: anche ipotizzando che si potesse abbattere il costo del lavoro, quello di sopravvivenza rimane sempre alto perché monetarizzato in euro, una moneta forte.
Queste verità le sapevamo anche nel 2002, nel 2005 o nel 2007 quando il paese non cresceva ma nessuno ce le ha dette perché si suppliva a queste carenze con l’indebitamento. Dagli appalti ai furbetti del quartierino fino allo scempio dell’Aquila, lo stato metteva in circolazione denaro che bene o male manteneva a galla la barca. Ma nel momento in cui il mercato dei capitali ha deciso che il debito era troppo alto e che l’Italia rischiava la bancarotta, le cose sono cambiate. E dato che la crisi del debito sovrano dei paesi PIIGS ormai minaccia tutta Eurolandia, Bruxelles ci impone di attivare quella flessibilità adesso per riallinearci con i paesi ricchi del nord Europa.
I tagli imposti dal governo Monti hanno questo scopo e basta. Per riallinearci dobbiamo sprofondare nella povertà, come sta succedendo ai greci. Quello che voleva Marchionne si avvererà: la nostra forza lavoro sarà cinesizzata. Nella manovra, che tra l’altro cambia nei dettagli quasi quotidianamente per regalare concessioni alle varie lobby, non c’è assolutamente nulla che migliori l’occupazione e la competitività dell’industria italiana. Anzi direi che l’aumento dell’IVA e della tassazione su quella fetta di classe media tartassata da Berlusconi per anni perché a lui contraria, peggiorerà la situazione perché colpirà pesantemente la piccola e media impresa. Ma non sono certo io che ve lo devo dire: il sindacato e voi lavoratori lo sapete bene.
Dato che le banche italiane sono le uniche a sottoscrivere il debito che poi danno come collaterale alla BCE in cambio di denaro, e che questo serve a ricostituire le riserve di capitale, l’impresa non solo è in competizione con lo stato per approvvigionarsi ma ha sempre meno accesso al credito. 
E’ quindi evidente che la politica di austerità imposta dall’Europa Unita, o meglio dall’asse conservatore Merkel Sarkozy, avrà in Italia gli stessi effetti che ha avuto in Grecia. In 18 mesi l’economia greca è precipitata nella depressione. Le ultime proiezioni del Fondo Monetario ci dicono che alla fine del 2011 il PIL greco si sarà contratto del 7%. Come farà questo paese a riprendersi? Nessuno fuori della Grecia sembra chiederselo. Monti ed il suo governo di tecnici cattolici farebbe bene ad andare in gita nel Pireo per toccare con mano i risultati dell’austerità. La disoccupazione ha superato il 40%, il pubblico impiego è stato la prima vittima ma ormai anche il turismo risente dei tagli, il paese è prossimo al collasso. 
Purtroppo tra il  governo Monti e  quello precedente c’è poca differenza. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, insomma, ed infatti dietro Monti ci sono gli stessi poteri forti che hanno appoggiato Berlusconi.  A me sembra proprio che si sia ricostituito il grande centro e che sia guidato da gente di centro destra. Ma questo non è il problema principale; ciò che temo è che anche questo governo sia composto da ideologi neo-liberisti che non si rendono conto delle conseguenze drammatiche delle loro decisioni.
L’Italia deve abbandonare questa strada e rinegoziare la sua adesione all’Europa Unita. Deve uscire dall’euro ed affrontare un default pilotato. Il prezzo sarà altissimo, anche in termini di occupazione, ma almeno questa politica, se fatta bene, ci porterà a crescere di nuovo. Il sindacato dovrebbe avviare degli studi a riguardo, produrre scenari alternativi da discutere con il governo. Come succedeva un tempo, il sindacato deve proporre e non accettare solamente.  E, naturalmente, bisogna tornare a lottare in piazza, poiché è solo lì che ormai si esercita la democrazia.
E’ ora di tornare a far sentire la nostra voce e di smettere di parlare dei privilegi della casta; qui in gioco c’è l’economia di un intero paese e la dissoluzione dei diritti dei lavoratori: è una situazione esplosiva, da rivoluzione.

giovedì 15 dicembre 2011

Solidarietà ai fratelli senegalesi e al popolo rom

Basta col razzismo e la xenofobia. Diritti per tutte e tutti!
La strage razzista di Firenze, il polgrom antirom a Torino, dimostrano che la misura è colma, che si è andati oltre, che bisogna reagire. Razzismo e xenofobia hanno covato per anni nel nostro paese, alimentati dai governi e dalla destra, dal leghismo, dal neofascismo, ma anche da tanta cultura "legge e ordine" utilizzata per tutti gli schieramenti politici.
Ora bisogna reagire, biosgna scendere in piazza contro il neofasismo, il razzismo e la xenofobia per chiedere diritti per tutte e tutti, l'abolizione della legge Bossi-Fini e della persecuzione continua contro i migranti.
Che i fratelli senegalesi morti a Firenze, non siano almeno caduti invano!
Chiudiamo Casa Pound, come hanno chiestio gli immigranti di Firenze.
basta col razzismo

Eguaglianza e Costituzione per tutte e tutti!

No al debito, no a Monti. Il 17 assemblea a Roma

Dobbiamo fermarli! Così concludevamo l’appello lanciato nel luglio scorso contro l’Europa delle banche e della speculazione finanziaria, appello che portò all’assemblea di Roma del 1° ottobre.
Quando siamo partiti c’era ancora il governo Berlusconi e la politica economica dettata dalla finanza internazionale si era scatenata soprattutto sulla Grecia. Pensavamo che sarebbe arrivata da noi, visto che l’Ue di oggi ne è una pura esecutrice, tuttavia non potevamo prevedere che tutto sarebbe precipitato così in fretta. Invece l’attacco speculativo al debito pubblico italiano e a quello di tutti i principali paesi dell’Ue, e il contemporaneo totale fallimento del governo Berlusconi, hanno portato a far sì che il governo unico delle banche divenisse il concreto governo della Repubblica italiana.
Ora che la lettera della Bce è diventata formalmente programma di governo, ciò che sembrava largamente diffuso nell’opinione pubblica e soprattutto nella grande informazione, non lo è più. Come in Fiat la brutalità di Marchionne ha cancellato il contratto nazionale e ha costruito il consenso alla schiavitù del lavoro rispetto alla globalizzazione, così il governo Monti costruisce il consenso alla schiavitù del paese rispetto al diktat della speculazione sul debito.
Eppure basterebbero poche cifre, per dare l’idea della brutalità, e anche della follia dell’offensiva che stiamo subendo. La manovra lacrime e sangue del governo porta via dalle nostre tasche sostanzialmente 30 miliardi di euro. Secondo la Cgia di Mestre la somma complessiva delle manovre adottate dal governo Berlusconi e da quello Monti, porta via, entro la fine del 2014, 208 miliardi di euro. E’ una cifra enorme, in gran parte, almeno al 90%, pagata dai lavoratori, dai pensionati, dai poveri. Eppure non basterà. Con i tassi di interesse attuali sui buoni del tesoro l’Italia dovrà pagare dagli 80 ai 90 miliardi all’anno solo per gli interessi sul debito. Quindi nello stesso periodo di tempo ci vorranno dai 250 ai 300 miliardi solo per pagare gli interessi sul debito, senza intaccarlo minimamente nella sua dimensione complessiva.
Queste aride cifre ci dicono che le manovre non basteranno, che si dovrà tagliare ancora e che tutto questo provocherà ulteriori disastri all’economia. E’ la medicina greca, adottata da tutti i governi dell’Europa, cambiando solo le dosi a seconda del Paese a cui viene applicata. Oggi pare che in Grecia l’Ue chieda il licenziamento di 150mila dipendenti statali, fatte le proporzioni sarebbe quasi un milione da noi. Si fanno le manovre, si scopre che non bastano perché l’economia si deprime ancora di più e quindi si torna a farne delle altre, mentre il debito resta sempre lì a imporci la sua schiavitù.
E’ un meccanismo di semplice usura, quello a cui i governi europei sotto il dettato della finanza internazionale e delle banche stanno sottoponendo i loro cittadini. Il governo Monti è espressione di questa politica fallimentare. Nello stesso tempo si affossa la democrazia. In Grecia il primo ministro Papandreu è stato sostituito quando voleva fare un referendum sulle misure dettate dall’Europa. In Italia si è fatto il governo Monti, per non andare al voto, perché lo spread non voleva.
Qui bisogna essere chiari. La stima personale che abbiamo nei confronti del presidente della Repubblica non cancella il fatto, ormai riconosciuto in Italia e all’estero, che stiamo precipitando verso un modello di governo più monarchico che repubblicano. Nella nostra democrazia costituzionale non sono previsti governi del presidente, governi del sovrano, e il precedente è inquietante. Immaginiamo infatti se al posto di Napolitano ci fossero altre personalità, simili ad altri presidenti che hanno esercitato la loro funzione nella storia della nostra Repubblica. Immaginiamo come potrebbero utilizzare il potere presidenziale che si è così creato. Sì, dobbiamo essere preoccupati profondamente per la crisi della nostra democrazia. E d’altra parte, cosa si sta realizzando in Fiat se non prima di tutto la cancellazione delle libertà fondamentali di sciopero e di rappresentanza per i lavoratori del gruppo? L’economia della globalizzazione, se non viene contrastata distrugge la democrazia, nella fabbrica, nella società, nelle istituzioni. E il governo Monti non ha nemmeno un centesimo di anticorpo culturale per opporsi a questa deriva.
Per reggere dobbiamo ripartire dall’opposizione a questo governo, alla logica e ai principi che lo ispirano, ai mandati che deve eseguire.
Il 17 a Roma ci troviamo proprio per questo. Per costruire un punto di vista alternativo a quello del governo delle banche che domina l’Europa oggi e per essere coerentemente alternativi al governo Monti e a chi lo sostiene. La situazione è troppo grave per limitarci a chiedere il cambiamento a questa o a quella misura. E’ la schiavitù del debito che va rovesciata, e con essa, in tutta Europa, i governi che se ne sono fatti interpreti.
E’ una grande sfida democratica, decisiva per non precipitare nella barbarie, nelle guerre tra i poveri, nei razzismi, che crescono come sempre nella storia europea in tempi di crisi. Bisogna dire basta alle politiche liberiste che ci governano da trent’anni e che ci hanno portato a questa crisi. E’ necessaria l’unità tra chi si oppone oggi da sinistra al governo Monti. La situazione è troppo grave perché si possa continuare così e a mobilitarsi in ordine sparso. E’ allarme rosso, compagni e compagne, dobbiamo unirci per lottare contro chi ci vuole distruggere e l’assemblea del 17 a Roma vuole mandare questo chiarissimo messaggio.

Giorgio Cremaschi

Il trilemma dell'Unione europea

Nell suo ultimo bel libro sui paradossi della globalizzazione, l'economista di Harvard Dani Rodrik descrive il "trilemma" dell'economia mondiale: democrazia, sovranità nazionale e globalizzazione economica sono obiettivi che possono essere perseguiti solo a coppie. Secondo Rodrik, se si vuole perseguire l'iperglobalizzazione economica e mantenere la sovranità nazionale bisogna rinunciare ad elementi sostanziali di democrazia. Se si vuole salvare la globalizzazione e garantire allo stesso tempo la possibilità di scelte democratiche, bisogna rinunciare alla centralità della nazione in favore di autorità democratiche globali. Se invece si intende salvare lo Stato nazione e la democrazia politica, allora bisogna rinunciare all'iperglobalizzazione e limitarne l'azione in alcuni settori. Quest'ultima scelta è la soluzione preferita da Dani Rodrik: le diversità sociali e culturali fra i popoli del mondo impedirebbero una vera e propria democrazia globale.
Il trilemma descritto qui sopra, applicato a quell'esempio di sistema economico regionale che è l'Unione europea, spiega al meglio le diverse alternative che si presentano oggi ai cittadini europei. Anche nell'Unione europea, Stati nazionali, democrazia politica e Mercato unico imperniato sull'euro, non possono essere perseguiti tutti e tre allo stesso tempo, ma solo a coppie.
Se infatti si vuole salvare il Mercato unico (e con esso l'euro) e allo stesso tempo la sovranità nazionale bisogna rinunciare a quote significative di democrazia politica. Rodrik chiama questa opzione la "regola aurea": un meccanismo in cui per sopravvivere i governi nazionali dovrebbero perseguire solo politiche adatte ad attrarre capitali e a godere della fiducia dei mercati, e dunque gli ambiti delle scelte democratiche sarebbero estremamente limitati.
Al contrario, se si vuole mantenere partecipazione democratica e Stati nazionali bisogna rinunciare all'euro e al Mercato unico e ritornare al tempo del "Mercato comune" - il modello di integrazione europea esistente fino metà degli anni '80 - in cui non vi era piena libertà di movimento dei capitali e gli Stati potevano proteggere, in caso anche legiferando in autonomia, le caratteristiche essenziali dei propri compromessi sociali e dei servizi pubblici. 
In ultimo, se l'obiettivo è quello di preservare l'euro e allo stesso tempo la democrazia partecipativa, bisogna necessariamente sacrificare quote sostanziali di sovranità nazionale. Occorre cioè creare un governo democratico e federale dell'economia che possa legiferare in materia di politica economica e non solo.
L'illusione che questo "trilemma" non esista sta facendo prevalere nei fatti la prima opzione. Deve essere chiaro che il percorso tracciato da Merkel e Sarkozy il 9 dicembre scorso a Bruxelles, e appoggiato dall'attuale governo italiano, va esattamente nella direzione di ridurre, fino a renderli inconsistenti, i margini delle scelte democratiche. Norme di bilancio rigide, decise attraverso accordi intergovernatativi e gestite da entità sovranazionali come la Corte di giustizia di Lussemburgo (Maastricht 2), diventeranno tavole della legge sulle quali nessun potere democratico potrà incidere. Gli stessi trattati intergovernativi prevederanno modifiche della Costituzione - in primo luogo quella del pareggio di bilancio - avverando l'impensabile risultato di accordi fra governi in grado di modificare il patto sul quale si fonda il rapporto fra Stato e cittadini. Sul mercato del lavoro, la tassazione e le privatizzazioni, i popoli europei dovranno accettare che i propri governi mettano semplicemente lo stampino a quanto loro richiesto da organismi non eletti come la Commissione europea e la Banca centrale o del tutto imperscrutabili come i mercati.
Di fronte a tutto ciò occorrono massicce mobilitazioni sociali che siano in grado di bloccare questo processo e la più larga alleanza possibile fra le forze politiche, intellettuali e sociali di tutti i paesi europei. Tale sussulto di dignità e partecipazione non potrà prescindere da una dura opposizione al governo di Mercozy e Monti e dovrà mirare a far prevalere, contro ogni tentazione autarchica, l'opzione della salvaguardia dell'euro e allo stesso tempo dello spostamento a livello europeo di alcune scelte democratiche, con la creazione di un governo federale dell'economia. Questo governo dovrà legiferare sulle politiche di bilancio, sul fisco e sugli standard lavorativi, ma dovrà anche promuovere una salvaguardia dei beni comuni europei contro il loro progressivo svilimento.
Giuliano Garavini

lunedì 12 dicembre 2011

Cremaschi: “Sciopero: azione simbolica. Bene solo quando Cgil e Fiom hanno fatto da sole”

Lo sciopero di 3 ore complessivamente non è andato bene e non poteva che essere così. E’ stato organizzato nella totale confusione, come uno sciopero pressoché simbolico. (...)
E’ stato preceduto da un ridicolo incontro con il governo ove Cgil, Cisl e Uil hanno solo mostrato debolezza e impotenza di fronte a un esecutivo che prendeva il sindacato (sobriamente) a pesci in faccia.
Gli unici successi sono quelli degli scioperi e delle manifestazioni della sola Fiom e della sola Cgil, che si sono tenuti a Brescia, in Emilia, in parte a Torino e in altre sedi. I presidi unitari, dove sono stati organizzati, sono stati veri e propri piccoli presidi.
Si conferma che mentre contro i lavoratori viene sferrato un attacco senza precedenti, la debolezza e la confusione con cui si muovono Cgil, Cisl e Uil, non solo non rappresentano una risposta ma anzi sono, in alcuni casi persino controproducenti, perché rafforzano le intenzioni di chi, nel padronato, nel governo e nelle banche, vuole andare fino in fondo con il rigore.
Il vecchio modello di azione sindacale è morto, in Italia e in Europa. O si fa sul serio o non si conta nulla.
Per questo gli unici punti di tenuta della giornata odierna sono stati quegli scioperi e quelle manifestazioni che erano contro Monti, contro Marchionne e senza Cisl e Uil che oggi non hanno alcuna credibilità nel lottare contro una politica economica e contro un attacco ai diritti che finora hanno accettato.
Così non va, l’abbiamo detto e lo ribadiamo, occorre costruire un’opposizione vera a Monti, Marchionne e alla Bce, ed è per questo che ci troviamo il 17 a Roma.
Giorgio Cremaschi

mercoledì 7 dicembre 2011

Risultati referendum su Accordo Integrativo Insiel

Si comunica l’esito del referendum sull’approvazione dell'Accordo Integrativo Aziendale Insiel, tenutosi nelle giornate del 6 e 7 dicembre 2011.


Aventi diritto al voto: 730
Votanti: 608 (83%)
Schede Bianche: 3 (0,49%)
Schede Nulle: 2 (0,33%)
NO: 30 (4,93%)
SI: 573 (94,25%)